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242 | poesie |
255Ognuna arciera, coturnata ognuna;
Ma fra due monti, onde si stringe un golfo
Tutto gentil soggiorna il bel Fassolo:
Qui sulla manca, e sulla destra sponda
Verdeggiano orti, che di quei d’Atlante,
260Giudice lui, lasciava vili i pregi:
E quando il Sol cresce gli estivi ardori,
E che langue la terra, ivi son grotte
In freddissimi scogli, opaco albergo,
Ove scherzano fresche ed onde, ed aure.
265In questo fra’ mortali almo ricetto
Spesso fa riverir le sue sembianze
La grande Emilia per cento avi illustri
Illustre al mondo, e per eccelso senno
Novella Egeria. Dagli accorti detti
270Arte potrai raccor da far men gravi
Tue tante pene, e da pigliare a scherno
Pienamente il furor d’ogni sventura.
Così disse Tritone, indi per l’onde
Segui suo corso, e fece star pensoso
275Il tormentato cor di Galatea.
XIX
LE PERLE
AL SIG. BERNARDO CASTELLETTI.
Qual per lo dosso di selvaggio monte
Fra duri bronchi, e fra spinosi dumi
È meraviglia, e non minor diletto,
Veder la neve di bel giglio, o l’ostro
5Fiorir di rosa, in guisa tal non meno
Fassi quaggiuso rimirare un’alma
Agli occhi altrui di gentilezza adorna.
Nasce ad ognora navigante ardito,
Che sospinge le prore oltre Bengala,
10Bramoso d’oro; a lunghe schiere, e folte
Mira di viti inghirlandar Leneo
I biondi crini, e le nevose tempie,
E per le labbra i suoi nettarei fonti:
Grida ogni lingua ove si canti il nome
15Del frodolente Arcier di Citerea,
E s’adora suo stral; ma d’altra parte
Ben è picciolo stuol, che abbia contezza
Delle donzelle del gentil Parnaso;
E pur son Dive, e fan contrasto a morte.
20Chi prende a ripensar, perchè nel cielo
Soffra la Luna senza lume oltraggio?
Perchè le rote luminose affretti
Alcuna volta in suo cammin Piroo,
E talor tardo si conduca a sera?
25Quanti son, che nel cor volgono l’arco
D’Iride bella? ed onde nasca l’ostro,
Che sì la fregia in seno all’aria? e quanti
Amano investigar, perchè sì gonfi
Tanto mugghiando l’Oceàno? o pure
30Il suo confine indi sforzar paventi?
Pochi per certo: e son color che al cielo
Volano sulle piume del pensiero,
Per meraviglia delle cose belle.
Nè da costor tu raggirasti lunge,
35Bernardo, i passi: al tuo gentile ingegno
Appressar non si vide unqua viltate.
Tu dell’Olimpo le bellezze eterne,
Tu l’ornamento degli aerei campi
Vagheggi intento, e tutto ciò che asconde
40Di pregio peregrin la terra immensa
Fai nobile tesor della tua mente.
Tu per gli umidi mondi d’Anfitrite
Vai col pensiero spazïando, e miri
Le ricchezze maggior del gran Nereo;
45Lo splendido vermiglio, onde s’illustra
Il ramoso corallo, alto monile
Sul puro sen dell’amorosa Dori;
E l’amabile perla, a cui non giunge
Altro candor nell’universo, pompa
50Ben singolar delle cerulee Ninfe.
Di questa gemma hai senza forse udito
Parlare i saggi nelle dotte scole;
Ma ciò, che di Parnaso in sulle cime,
E lungo Eurota ne ragioni Euterpe,
55Forse per te non s’ascoltò giammai:
Nol disprezzar, che le Castalie Dive
Con meraviglia fanno udir suoi canti.
Tanta possanza, o d’amorosa face
Invitta fiamma, ha femminil beltate,
60Che d’Elena gli sguardi un mar di sangue
Fero un tempo versar l’Asia e l’Europa:
Nè solamente allor donne terrene
Videro in arme travagliar suoi figli;
Ma per lo scampo de’ dardanii muri
65Mennone, prole della bella Aurora
Cinse la spada, e d’altra parte Achille.
Contra Ilïon vibrò l’asta possente.
Costoro un giorno nella pugna acerba
Furono a fronte; a rimirar qual Austro,
70E qual è Borea per gli aerei campi,
Ciascun ben vago d’occuparne il regno;
O come duo leoni in val d’Atlante
Sopra le membra di cervetta ancisa
Infurïati da digiun: non l’unghia
75Allora è pigra a disbranar, no ’l dente
Stancasi di far sangue; alti ruggiti,
Tuoni del petto lor, scuotono il bosco,
E fan lunge sonar l’ampie spelonche:
Ben è feroce il Mauritan bifolco,
80Se ivi non trema: in guisa tal non meno
L’aspra famiglia delle nobil Dive
Movea con forte man l’orribil armi
Da sè sgombrando il rio timor di morte:
E già scendeva all’Oceáno in grembo
85Il Sol dorato, e s’allungavan l’ombre:
Quando il micidïale acciar dell’asta
Sospinse Achille, ed impiagò nel petto
Profondamente degli Etiopi il duce.
Venne il misero a terra, e sonno eterno
90Gli circondò le giovinette ciglia.
Come tal volta il villanel, cui meno
Vengon del tetto le tarlate travi,
Corre tra’ boschi, e con polita accetta
Recide il tronco di durissima elce:
95Essa trabocca, e ne risuona intorno
La solitaria sponda: a tal sembianza
Mennone cadde; ma l’acerbo Achille
Guardandol fe’ volar queste parole:
Infin dal Polo, onde si move l’Austro,
100Tu sei venuto ad incontrar la morte:
Misera madre! e così detto ei cessa
Dalle battaglie, poichè cessa il giorno.
Ma gli scudier dell’Etiopo estinto,
Turba infelice, sollevaro il corpo,