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12 | POESIE |
X
PER EMMANUEL FILIBERTO
di savoja
Viva perla de’ fiumi
Dora, che righi umil la nobil Reggia,
Ove eterna fiammeggia
Bella virtù de’ più splendenti lumi;
Ed ove a i cari suoi
Addita il sol degl’immortali Eroi.
Come saetta al segno,
Al dolce suon de’ tuoi cristalli io volo;
Nè taciturno il volo
Porto dentro i confin del tuo gran Regno;
Ma scelsi aurea corona,
Inimica di morte in Elicona
O chiara, o regal figlia
De’ gioghi infra le nubi alti e canuti!
Io meco ho strali acuti,
Che sanno altrui ferir di meraviglia;
Ma qual per lo sentiero
Dell’aria pura farò gir primiero?
Vecchio suon di molti anni
Fa tra gli umani cor fresca memoria,
Che il bel fior della gloria
Domatrice del tempo e degli affanni,
Sfavilla in quelle cime,
Ove poca orma piè mortale imprime.
Gloria, che a’ suoi fedeli
Virtute vuol, ch’eternitate asperga,
Schiva dal vulgo alberga
Monte, che il colmo ha quasi uguale ai cieli;
E d’ogni intorno il serra
L’ondoso scotitor della gran terra:
Nè per Egeo sì grave
Mosse ardito nocchier remi volanti,
Che di mostri spumanti
Non provasse furor l’altera trave:
E intorno, e sulle porte
Non sentisse gli eserciti di morte.
Ma pur viltà non prese
Il Cavalier, che di Medea fu sposo;
Ei di rapir bramoso
Del sacro Frisso il peregrino arnese,
Sparse le vele ardite
Per gl’inospiti campi d’Anfitrite.
Ei fece eterno in Colco
Il sonno entrar nell’incantata fera;
Poi di messe guerriera,
Per strano esempio diventò bifolco,
E trasse a giogo audace
Le corna d’alte fiamme ampia fornace.
Or su di Cielo è il detto:
Virtù nell’opra e nel sudor s’affina;
E quinci il Mondo inchina
Chi volse a’ mostri avversi invitto il petto,
Tra’ quali, o nobil Dora,
Tu tanti hai posti, e lor n’aggiungi ognora.
Fama veloce e pronta,
Che via più d’Argo a’ chiari fatti è desta,
Con cotanti occhi in testa,
Tue pacifiche olive indarno conta;
E i verdi lauri alteri
Cresciuti infra ’l sudor de’ gran guerrieri.
Ma voi, sacre Sirene,
De’ gorghi di Castalia, e di Permesso,
Altrui non gite presso,
Pur numerando in riva al mar Parene;
Date sol canti all’opra,
Che all’opre di quaggiù posta è di sopra,
Quando infra mille e mille
Schiere frementi, e Duci eccelsi e grandi,
Sul Xanto de’ Normandi
Folgoreggiò l’Italiano Achille;
Allor sorse in que’ piani,
Abila, e Calpe de’ trionfi umani.
Monti d’armi, e di membra
Da’ fiumi accolse il gran Nereo nel seno;
Pallida ancor vien meno
Ogni Ninfa di Senna, ove il rimembra;
Non già così sen duole
Italia mia, ch’indi rivide il Sole.
XI
per lo medesimo
Non è viltà ciò che dipinge in carte
Fama alata cerviera;
Ove dunque pugnando il grande Alcide
Fu per lo Mondo errante peregrino,
Gloria veloce ardente
L’orme segnò delle robuste piante.
Ei là, dove Nettun Libia diparte
Dalla gran terra Ibera,
Anteo l’immenso, e Gerione ancide;
Alza le mete del mortal cammino;
Indi con man possente
Spegne sul Tebro il rio ladron fumante.
Or poiché vincitor per ogni parte
Fu d’ogni orribil fera,
Sopra il cerchio di latte Apollo il vide.
Sparso di stelle riposar divino
Ivi d’Ebe lucente
Aurea bellezza il fa felice amante.
Germe di Tebe, a cui tanto comparte
D’onor l’età primiera,
Da’ chiari pregi tuoi nulla divide
I pregi del mio Duce ugual destino;
Sì nel’armata gente,
E sì ne’ premij a te si fa sembiante
Qual vince orrido Noto ancore e sarte,
E ’l buon nocchier dispera,
Qual su i regni dell’onde orrendo stride,
E ’l Cielo asperge del furor marino;
Tal sulle schiere spente
Di nobil sangue ei fulminò stillante.
Quinci lieto sen vien con sì bell’arte
Alla sua Dora altera,
Che dalla bella riva, ove ei s’asside
Manda suo nome all’alto Ciel vicino
Quinci a lui si consente
Donna di pregio e di beltà stellante.