Pagina:Opere (Chiabrera).djvu/232


del chiabrera 219

Onta di Dite; e raccontò, che Codro
Dandosi in dono alla diletta Atene
Sacrossi a morte: felicissimi anni!
Sol, che l’ampiezza degli eterei campi
100In su rote di fiamma ognor trascorri,
Ove scorgi oggidì sì fatti esempi?
Ove gli scorgi? d’Acheronte in riva
Fanno forse gioir quell’orrid’ombre,
Che sulla terra se ne cerca indarno?
105Così dicea fervidamente, e gli atti
Erano d’uom, che da sè solo ascende
La cima dell’Olimpo infra’ Celesti.
Come in silenzio pose ambo le labbra,
Il popol si disperse, e sparse in alto,
110Meravigliando, un bisbigliar, qual suole,
Se fresco fischia infra le frondi il vento.
Muzio, volgendo in cor le note udite,
Rimase acceso, ed eccitò nel petto
Immantenente i generosi spirti,
115Ne può tenersi a fren l’alma agitata:
Morir senza lasciar di sè memoria,
E la vita finir senza esser nato?
Già nol farò: così dicende, ei ferma
Nella sua nobil mente alto pensiero.
120Che fece, o Diva, che circondi in Pinde
Le tempie di biondissima ricciaja?
Egli addobbossi qual Toscan guerriero,
E quando i gioghi all’accoppiato armento
Toglie tra’ solchi l’arator già stanco,
125Dalla rocca Tarpea fece partita;
E finchè d’ombra fu coperto il Polo
Fra’ campi s’adagiò; ma quando apparve
La rugiadosa, e d’odorose rose
Seminatrice per lo cielo Aurora,
130Ver le tirenne tende ei volse i passi,
E di Porsenna al padiglion s’accosta.
Egli a’ suoi falsi numi ardeva incensi;
Eragli a lato Autumedonte, uom chiaro
Per val di Macra, e poco dianzi venne
135Da Luni, in che regnava. Il fiammeggiare
Dentro i manti dell’oro, e la sembianza,
E le maniere, onde appariva altiero,
Del gran Romano al cor fecero inganno:
Ebbelo per Porsenna, onde rivolge
140Dimesso il guardo, e mansueto attende
Un invito di tempo a dar gli assalti.
Come addivien, che sotto il Sol cocente
Aspe sul mezzo dì ponsi in agguato
Dentro folti spineti, e se trapassa
145Pastor sonando le forate canne,
Ei tosto gli si lancia, e gli si scaglia,
E dagli morso di venen, talmente
Autumedonte dal Roman percosso
Morto cadeo: bene arrotato ferro
150Gli ficca in petto, e de’ polmon fa scempio,
Nè s’arrestò, che non trovasse il core.
Qual se talor di maggio, onor dell’anno,
Dalle porte del ciel piomba fragore,
Folgoreggiando, ed ampia quercia atterra,
155Le forosette, che in menar carole
Ivi godean, chiudono forte gli occhi,
E con ambo le mani ambo le orecchie
Di repentina meraviglia ingombre,
Tai furo a rimirar gli alti campioni.
160Ma tosto poi co’ brandi, e con quadrella,
Con minaccia di gridi, e con oltraggi
Aspri gli sono addosso, e fan che fermo
Del re sublime alla presenza ei stasse.
Porsenna il guardo in lui fissando, e gli occhi,
165Torbido d’ira, e con acerbi accenti,
Così gli parla: Or chi sei tu, che tanto
Malvagio osasti? e chi ti spinse ad opra,
Perchè debba lasciar l’indegna vita?
Sì disse, e per quel dir Muzio comprese,
170Essere il re, che favellava, ond’egli
Seco sdegnato sollevò tal grido:
Mano, ch’errasti, tu ne paga il fio:
Così dicendo, egli cocea la destra
Per entro i fuochi dell’altare: allora
175Per così strani modi il re commosso
Feceli forza a dar di sè contezza;
Ed ei la diè ferocemente: O sommo
Re de’ Toscani, alto Porsenna, io nacqui
Fra’ sette Colli, e non oscuro, a nome
180Muzio chiamato, e fra’ tuoi stuoli io venni
Con ben fermato cor di porti a morte,
Ma delle brame mie non son giocondo,
Perchè mi venne men tua conoscenza;
Tuttavolta odi me: Cento guerrieri
185Hanno promesso al Ciel con giuramento
Di darti assalto, e di versar tuo sangue,
E di Roma allegrar; non fia ciascuno
Come stato son io mal fortunato.
O regnator de’ Toschi, alma romana
190Altro non sa temer, che servitute.
Così dicendo, e con altier sembiante
Negli occhi del tiranno ei ferma il guardo,
Come leon per le foreste armene,
Che dalle turbe cacciatrici è cinto.
195Alle voci magnanime Porsenna
Stette mirando taciturno alquanto,
Qual uom, che move in sen gravi pensieri,
E quasi seco mormorando disse:
Certo non dee perir somma virtude.
200Indi rischiara il ciglio, e fa gioconde
Verso Muzio volar sì fatte note:
Del sangue di Quirin sorgono spirti
Da tener cari: Io rimirai sul ponte
Rompere il corso a numerose schiere
205Orazio solo, e rimirai fanciulla
Disprezzar le superbe onde del Tebro,
E gir notando alle paterne case:
Ma quale scarso non darassi pregio
Del forte Curzio alla mortal carriera,
210Quando l’ampia caverna a chiuder corse?
Di te mi taccio: O sette Colli eccelsi,
O fortunati, che sì nobil germi
In voi nutrite; or tu ritorna a’ tuoi,
Ed esponi al saper del gran Senato,
215Che a discinger la spada io son ben pronto
Con ogni atto di fede, e giurar pace
Se lo prendono in grado. Ei più non disse.
Vassene Muzio a Roma, e fa palese
La non sperata da’ Roman novella,
220Che giunse cara. Indi cessaro i suoni
Delle sanguigne trombe, e furo in pregio
Appo ciascuno i mansueti aratri,
Spiche apportando alla gravosa falce.