Limpido ruscelletto, in braccio a’ fiori
Stava corcato il sagittario Infante, 125Dolce soggiogator dell’Universo.
Siedegli appresso il poco noto in terra
Diletto: ei colle man nobile cetra
Toccando, i canti colle corde alterna,
E l’aria intorno di dolcezza asperge, 130Alla bella armonia, colmo di gioja,
Sì vagheggiava una immortal faretra,
Che l’alma Idalia gli donò pur dianzi:
Questa formata di rubin fiammante,
Da lunge abbaglia, e per tre giri aurati 135Cerchiata, in quattro spazj era distinta,
Ben degno albergo degli strali ardenti.
Quivi dentro, a veder gran maraviglia,
Scolpita fu l’innamorata Psiche:
Il suo mirar l’amante, empia vaghezza, 140Le lunghe insidie, e quei sofferti affanni;
Quando la varia, innumerabil biada
In picciol’ora distingueva, e quando
Del terribile armento i ricchi velli
Rapiva in riva al tenebroso fiume: 145Vedeasi mesta rimirare il giogo
Dell’alpe immensa, e si vedea pietosa
L’Aquila riportarle il vaso, e l’onda.
Altrove appar, che Citerea sdegnata
Prender le fa cammin per l’atro Inferno. 150La bella donna del Tartareo speco
Trapassa l’ombre, e del crudel Cocito;
Varca il bollente varco d’Acheronte,
Finchè all’atra Tesifone s’inchina;
Ma ritornando a riveder le stelle, 155Gli occhi gli richiudea Stigio letargo.
Allor benigno di sua man conforto
Amor le dona, e riserrando il varco
All’indegne miserie, in sull’Olimpo
Degna la fa della nettarea mensa; 160Tal che, le finte immagini godendo,
Pasceva il guardo, e la memoria antica
Nuove dolcezze gli metteva in mente.
Quando presso di lui, fosca la fronte,
Pervenne Alcina, e distillando i lumi 165Tepido pianto in sulle gote oscure,
Prima lo riverisce, indi gli dice:
O su gli affanni, o su gli altrui cordogli
Largo dispensator d’alta dolcezza,
Alcina già solea condursi avanti 170Al tuo cospetto, ed arrecarti in dono
Ampi tesori, e colla voce in parte
Renderti grazie del felice stato
In che, la tua mercè, dianzi vivea:
Or lassa non così, che il tempo lieto 175È men venuto, e de’ miei regni antichi
Han fatto dura preda i miei nemici.
Gira gli occhi ver me; non son più d’oro,
Nè di pompa real miei vestimenti:
Le mie ricche provincie, e la mia Reggia 180Ha posta in fiamma, e coll’altrui possanza,
Spente mie forze la crudel Melissa.
Ne fu sazia di ciò, che a mio tormento
Mi ha svelto dalle braccia, e posto in fuga,
Da me lontano, il più pregiato amante, 185Il più gentil, che unqua vedesse il cielo.
Con esso ben potea temprar mia doglia,
Potea con sua beltà prender conforto
Del regno andato: ora per lei mendica,
Or vedova per lei, come rimango! 190O della face, o della fiamma eccelsa
Forte Custode, o degli strali invitti
In terra, e in mar saettator famoso,
Odi i miei preghi: e se ripormi in regno
Troppo ti sembra, e s’io, che dianzi altiera 195In mano scettro, e in fronte ebbi corona,
Ho da menar miei di serva, e deserta,
Deserta, e serva viverommi: almeno
Tendi l’arco per me; fa che s’arresti,
Fa che ritorni il fuggitivo amante; 200Vaglia tuo dardo si, ch’entrambo amiamo.
È forse cosa, di che Amor si pieghi
Più giustamente? In questi detti aperse
L’afflitta Maga il suo cordoglio, e quasi
Commosso a quel dolor piegava il petto 205Amor cortese a saziar suoi prieghi,
Se non Melissa, a rivelar sue frodi,
Squarciava il folto nembo, ove si chiuse.
Ella con nobil guardo in atto altiero
Dolce saluta d’Acidalia il figlio: 210Ei si solleva, e con onor l’accoglie,
E lieto fassi: ma dal duol percossa,
E dallo sdegno, la rimira Alcina
Con spuma a’ denti, e con faville agli occhi
La nobil donna non rivolge il guardo 215Vér la nemica, e ne’ sembianti segno
Fa di sprezzarla, e verso Amor favella:
Si querela costei, che del suo impero
Sia posta in bando, e del suo amante priva,
E me piangendo e sospirando accusa: 220Mirabil arte! nell’altrui tormento
Durar crudele, e poi ne’ proprj affanni
Farsi maestra di singhiozzi e prieghi:
Or, che tolto di man le sia lo scettro,
Ben ti confesso; ma per mia possanza 225Non perse il regno, io non le mossi assalto,
Nè per suo danno mi succinsi in arme:
Per sè medesma da lascivia spinta
Spiegò le vele, e se ne corse a’ porti
Di Logistilla, e le offerì battaglia. 230La magnanima donna in mezzo l’onde
Arse le costei navi, e diede in preda
La gente a’ pesci, e per tal modo ha vinti,
E per tal modo i regui suoi governa.
Ma dinne tu, che sì sovente appelli 235Il tuo scettro, il tuo regno, onde ti venne?
Per quali antichi tuoi ne fosti crede?
Non l’usurpasti a tradigion? rapito
Ei non pervenne a te per modi ingiusti?
Dovrà lodarsi in te, che altri si spogli 240Furtivamente, iniquamente, e che altri
Da te riscuota il suo dovrà biasmarsi?
Ma se di quel paese anche potesse
Dirsi reïna naturale antica,
Lagnarsi non potria, che altri il si tegna, 245Sì nobilmente ella ne resse il freno:
Entro un fetido mar d’empio diletto
Innabissata, non volgeva in mente
L’onorato piacer delle tue leggi.
Solo aveasi colà fermato albergo 250Lunga lussuria, indi crudel tormento:
Da tutte parti con sottile incanto
A sè traeva cavalieri, ed arsa
Guastava un tempo i lor gran pregi, e poscia
Gli trasformava in sassi, in fere, in tronchi.