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20 poesie

VI

per lo medesimo duca di savoja

difensore della provenza.


Quando il mel de’ lor concenti
     Presso Dirce i gran Poeti
     Dior per oro lusinghieri
     Disser sol, come possenti
     Furo i Greci infra gli Atleti,
     O veloci in su i destrieri.
Non cur' io sì basso vanto,
     Che se Dedalo m'impenna
     Di cader non ho temenza;
     Carlo, i fulmini tuoi canto
     Infra l’Alpi di Gebenna,
     E sull’onde di Durenza.
Se d’Italia ogni antro oscuro
     Per ornar tuoi regj affanni
     Stancherà più d'una incude,
     Dall’obblio non sei sicuro;
     Perocché di vincer gli anni
     Vil martel non ha virtudo.
Ma la falce empia mortale,
     Che immortai valor disdegna,
     Sa schernir mio nobil verso;
     Che se al piè gli metto l’ale,
     Come Clio dolce m'insegna,
     Vola ognor per l'Universo.
D'Amedeo l'inclita gloria
     Là di Rodi in su sull'arene
     Venia scura al Mondo omai;
     Ma rifulse sua memoria,
     Quando al fonte d’Ippocrene
     Dolcemente io la lavai.
Del qual Re per certo panni
     Per cammin di lunga etato
     Che non sei l'erede in vano;
     Così forte hai cinto l’armi
     Contro all’alme scellerate
     Per la fé del Vaticano,
Ciascun'alma vincitrice
     Di mio stil non degnerei,
     Sol ne' turbini funesti
     Quella spada appai felice,
     Per cui s’ergono trofei
     Cari al guardo de' Celesti,
Quinci a te sacro mia lira,
     Ricca ognor d'eterei suoni,
     Onde è Clio nuova maestra;
     Or tu dunque infiamma l'ira,
     L’ira, ch’arma di gran tuoni
     L’invincibile tua destra.


VII

per l'altezza serenissima

granduca di toscana


Lodasi la suà benignità.


Avea più volte udito
     Di Climene la prole,
     Che fu suo padre il Sole;
     Onde tutto invaghito
     Di vagheggiare il Genitor sovrano,
     Volse le piante all'immortai sua Reggia,
     Onde splendor fiammeggia,
     Che sostener non può lo sguardo umano;
     Quindi, perché Fetonte
     Renda contento il suo desire audace,
     Senza che il troppo lume i dì gli oscuri,
     Tolse dall’aurea fronte
     Il diadema di rai Febo sagace,
     Quasi per lui non più risplender curi,
     E sicuro fissò l'avido figlio
     Nel temprato splendor l'infermo ciglio.
Or Febo a me consenti,
     Ch'io prenda i lampi istessi,
     Che hai deposti, e con essi
     Rischiari altrui le menti;
     E mostri a' Grandi, che del fasto altero
     Denno i lampi depor, che ogni occhio abborre,
     E più benigni accorre
     Chi servo nacque al lui sovrano Impero:
     E 'n tal guisa temprata
     Tener la maestà del regio aspetto,
     Che non offenda con soverchio lume;
     Poiché stende e dilata
     Sovra d’ogni soggetto
     Il dominio, che ha l'uom, sì bel costume.
     Mentre non pur sulle corporee salme,
     Ma gli dà nuovo scettro anco sull’alme.
Ah neghi l'aria il suono
     All'esecrabil voce,
     Che superbia feroce
     Chiama a regnar sul trono;
     Quasi rassembri maestà cadente
     Quella, che non sostiene l'arco del ciglio,
     E non chiama a consiglio,
     In qualunque opra sua fasto insolente
     Stoltezza! ha d’uopo solo
     Mendicar dall’orgoglio onore e stima,
     Chi senza lui di vilipendio è degno.
     Ma taccia il folle stuolo,
     Che cotanto lo stima,
     Che de' Regnanti il fa primo sostegno;
     E perchè muto resti a forza, in prova
     Di mostrargli Fernando, o Clio, mi giova.
Mira con'ei s’affida
     Sulla propria grandezza,
     Nè mai vana alterezza,
     Entro al suo cor s’annida,
     Ve' come alfabil regna, e con qual’arte
     I lampi, ond’ei risplende, in sè nasconde,
     E l’invidia confonde,
     Che si sente cangiar natura in parte;
     Mentre per lui si vede,
     Senza l'usato fiele, oggi compagna
     Dell’altrui morto e dell'altrui fortuna;
     Che d'essa ei fatto crede,
     Perchè grande rimagna
     Con dolce sol senza amarezza alcuna:
     Io, che di ciò son testimon fedele,
     Nel mar delle sue lodi apro le vele.
Ma nel mover dal lito
     Ecco vento che spira,
     E ben tosto ritira
     Dal corso il legno ardito,
     E bella Clio, che a’ miei pensier dà legge.