Di passo in passo: ove Dedalea mano
Fatto avea fiammeggiar vago trapunto 285Ricco di gemme, e di rugiade Eoe.
Poi di feltro impennato il crin ricopre,
Ed al fianco, sinistro il brando appende,
Ed esce in ampia loggia: ogni parete
Avean dipinto Policleti e Zeusi 290Con lungo studio, agli occhi altrui conforto:
Vario splendor di Paretonj marmi,
E marmi argivi ricopria gli spazj
Del pavimento; in sì real magione
Soleano i duci riverir Menapo 295Uso venirvi con la prima aurora:
In su quel punto era sorgiunto Adrasto,
E seco Ernesto, Adrasto unico germe
Di Perafan degli Schiavon tiranno:
Avea costui trenta fïate aprile 300Fiorir veduto, e risplendeva altiero
Del più bel fior della mortal beltate.
Spada cingeva, e s’avvolgea d’usbergo
Per franca far la principessa Agave,
Onde era amante, e rïamato; solo 305S’attendeva cessar l’opre di Marte,
Ed indi celebrar lieti imenei;
Ma di Trevigi, e delle belle intorno
Molte castella era signore Ernesto
Già figliuol d’Erimanto, era leggiadro, 310Bello a mirar, ma di beltà guerriera;
E poco dianzi egli varcò venti anni,
Fortemente diletto al cor d’Elvira,
Onde osava sperar la regia sposa:
Costor guerniti di metallo, e d’oro 315Moveano il nobil piè dentro la loggia
Fin che Menapo fe’ vedersi: allora
Fermaro i passi, ed abbassaro in terra
Quasi il ginocchio, e dimostraro al vento
Scoperto il crin di riverenza in atto: 320Il re cortese con la man fe’ segno
Che ne vengano a sè, poscia commise
Coprire il capo, e finalmente ei disse:
Molto amati campioni, alla cui destra
Voglio dovere il Regno, e la cui vampa 325Di vero amor tanto m’accende il petto,
Che spegner nol potranno acque d’obblío.
Vostra virtù fin qui stata è siccome
Argine all’innondar del fier nemico;
E salvò la città, ma quinci innanzi 330Con più franchezza maneggiate l’armi,
Che messaggio del ciel reca novelle
D’alto soccorso, e sì diceva: ed ecco
L’afferra gel, che fa tremarlo, e casca.
E gridò nel cadere; ahi che mi moro. 335Qual per cielo seren spande colombo
L’ali dipinte, e va cercando rivi,
Ove lavar la dilicata piuma,
Ma trova arcier, che bene esperto scocca
Dardo impennato, e gli trafigge il volo; 340Onde trabocca, e non temea del colpo,
Tal di quel re mal fortunato avvenne:
Tutto cosperse di pallore ei versa
Sospiri odiosi di sulfureo fumo
Dall’atra bocca, e fortemente anela; 345E vuol parlar, ma di parlare in vece
Ei scilinguava; disse al fine: O duci,
Al mio fanciul deh lealtate e fè:
Altro non giunse; e su quel punto l’alma
Se ne volava alle magioni eterne: 350Ernesto, Adrasto, e le seguaci schiere
Ciò rimirando non facean parola,
Ma l’un vêr l’altro s’affisava in volto:
Come arator, se nell’alzar del giorno
Vede repente scolorirsi il Sole 355Allor, ch’ei soffre dalla luna oltraggio,
Lascia l’aratro in abbandono, e guarda
Il sorvenir dell’affrettata notte
Ingombro di stupor, similemente
Stette pensosa quella nobil turba 360Sul venir men del re, poscia dogliosi
Misero gridi, e riversando pianti
Faceano alto risonare omei:
Immantenente la città percossa
Fu dall’aspre novelle, onde cordoglio 365Tutte trascorse quelle vie funeste;
Nè penò molto ad impiagar l’orecchie
Della donna real: sul primier suono
Fu quasi pietra ne’ sembianti; ed indi
Tornando viva ella scagliò lontano 370L’aurea corona, e si disvelse i crini,
E trasse mugghi di profonda angoscia;
Pur dianzi il ciel mi promettea soccorso,
Ed or mi spoglia d’ogni aíta? e dove
Dove appoggiarsi la mortal speranza? 375Fra questi detti ella fremeva, i fiumi
Spargea di pianto in sulle belle guancie;
E poi di novo cominciò lamenti:
Manti superbi, e regj letti, letti
Non più, ma tombe, a che dolente punto 380Or mi traete? O me felice, s’era
Nascendo destinata a vulgar culla:
Misera Elvira! In sì crudel stagione
Chi ti fa schermo? chi ti serba il regno?
Chi dà scampo al figliuol? sì dice e prende 385Rapido corso a ritrovar le membra
Del suo re spento: Ella incontrò per via
Ernesto, Adrasto, che recava in braccio
Il freddo corpo del Signore estinto
Verso le stanze dell’usato albergo: 390Essi come fûr presso, e vider tinti
Di mortal pallidezza i bei sembianti
Dell’alta donna, e come scuro il guardo,
E delle chiome rabbuffato l’oro
Costretti da pietà sparsero pianto: 395Ma la reina quanto può s’avventa
Verso il caro consorte, il collo cinge
Tenacemente, e mille volte il bacia,
E sovra il petto abbandonata gemma
Delle lagrime sue non punto avara: 400Or come al lamentar non ponea fine
Adrasto le diceva: inclita Donna
Deh perchè t’abbandoni? a’ grandi è biasmo
Non trionfar delle fortune avverse.
Ella dopo gravissimo sospiro 405Guardando fissamente il corpo estinto
Fece a sè forza intra singhiozzi, e disse:
O di quante gioconde avea speranze
Solo sostegno, e ne’ miei guai conforto,
E sola vita del mio cor Menapo, 410Perchè vivere io più? forse per sempre
Qui lagrimar tua miserabil morte?
Ma s’io volessi, onde n’avrò possanza?
Sono io diamante? ho di macigno il petto?
Ah ch’io sento perirmi! In queste note