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8 | poesie |
Stridulo angel s’onora.
Questa di cetra umil rosa armonia
Anco destar diletto
Potrà nel nobil petto,
Se con sorte s'accorda. Intanto sia,
Se 'l ripregar mi lice,
Teco quanto fedel, tanto felice.
II
per la medesima.
Marte, invincibil Marte,
Che sprezza in arme alte querele e pianti,
Che bagna l’ugne de' destrier volanti
Sull'aire membra sparto;
Poiché ha tinto di sangue ampio terreno,
Prende riposo a Citerea nel seno.
Per quei dolci sorrisi
Esca ben degna all'immortal desio
Il sofferto sudor mette in obblio
Fra gl' inimici ancisi;
E bee nel guardo de' bei lumi ardenti
Soave Lete de' guerrier tormenti.
A che pensar ne tiri
Musa con tai lusinghe alme e divine?
Se tu mi di’, che gli aspri affanni han fine
La 've chiara si miri
Fiamma ch’in due begli occhi arde e sfavilla
E che bella goduta i cor tranquilla.
Ed io soggiungo: O Dea,
Che ben del mio Signor lieta è la sorte;
Perchè se invitto al minacciar di morte
Da dura sorte e rea
Fi sen ritorna emulator degli Avi,
Ha chi gli affanni suoi rende soavi.
Vago d'eterni allori
Erga trofei su region lontana,
Sospinga a suo voler l’asta Romana
Entro a' barbari cori,
Che poi le piaghe, e le fatiche armate
Consolar può nel sol d'alma beltate.
I cui prezzi immortali,
S’io tentassi illustrar co’ versi mici,
Certamente Fenice io la dirci,
Ch’al Ciel dispiega l’ali,
Se non ell’ognora inverso il Ciel più sola
Di ciascuna Fenice ella sen vola.
Ma se ’l Nil, che s’affretta
Con gran rimbombo, i peregrin spaventa;
E se puro ruscel con onda lenta
Mormorando diletta:
Fia sicuro da biasmo il mio consiglio,
S'a men sonante cetra oggi m’appiglio.
Qual se varia fiorisce
Fertile piaggia, onor di Primavera,
L'occhio ch’intera se la guarda, intera
Guardandola gioisce,
E quando a parte a parte la rimira,
A parte a parte pure ancor l’ammira.
Tal dolce meraviglia
Porge il crin d’oro, o quelle labbra accese,
O ’l vivo avorio della man cortese,
O la guancia vermiglia;
E se ciò tutto agli occhi altrui s’espone,
Altri di sè bear trova cagione.
Così, madre feconda,
Cresca all'Italia onor co’ figli alteri;
Così fiamma nudrendo a' suoi pensieri
Arda sposa gioconda;
Ed or del suo Signor colga gli amori,
Ed or n’ascolti i celebrati onori.
III
PER VITTORIO CAPPELLO
generale de' veneziani nella morea
Vinse Aulide, Atene, Pireo, travagliò que' Paesi inimici, e n'ebbe statua della Repubblica
Alta rocca munita,
Ove si eterna libertà diletta;
Trono, onde aurate leggi impone, e detta
Alma Giustizia, di quaggiù sbandita:
Tempio di Pace, sede
Immobil di Pietade:
Sacrato altar di Fede,
Scola di Marte alle crudel giornate,
Ond’ha palme, ed allòr la nostra etate.
O d’Italia dolente
Eterno lume, ed immortal sostegno,
Venezia! Io di Parnaso a te ne vegno,
Calle ben noto alla tua nobil gente:
Tu benigna il sentiero
Apri ne’ salsi umori
Di Febo al messaggierò,
Che spargo nuovi d’Elicona i fiori
Del buon Cappello a i numerosi onori.
Ei con lo scettro egregio,
Onde tuoi regni alta virtù mantiene,
Diritto or premj ministrando, or pene
Colse degli ostri mansueti il pregio;
Ma sulle Greche foci
Là’ ve Ottomano il tira
Alle stagion feroci
Scolpissi marmo, in cui se torvo il mira,
Rimira il tempo reo, caduca ogn’ira.
Ned io canti, o parole
Tesso alla morte de’ patrizj tuoi,
Perchè tua stirpe Italiani Eroi
Goda men gloriosa a’ rai del Sole:
Ma nel terreno manto,
Si par ch’altri rifiuto,
Quasi lusinga il vanto,
E sente a noi sparita altrui virtute
Via men d'invidia le saette acute.
Quinci intenta raccoglie
Vaga ogni orecchia di Vittorio i gridi,
Com’ei nuovi Quiriti su’patrj lidi
D’Aulide al suo Leon sacrò le spoglie:
Com’ei corse l'Egeo,
Come su’ legni alati
Scosse Atene, e Pireo,
Come tra' Campi d'Oriente armati
Derise in guerreggiar gli archi lunati.