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192 poesie

Che non disse, e non fe’ per Bradamante?
45Ma recitiamo, e raccontiamo i grandi
Prontissimi a seguire il capitano,
Che il gran sepolcro liberò di Cristo:
Quanti duci infestaro il pio Goffredo
Per esser cavalier di quell’Armida?
50E l’alma valorosa di Tancredi
Non amava morir sopra la morte
Dell’amata Clorinda? E fare oltraggio
Ad ogni cor gentil tenerlo in bando
Da bella donna, ove ripari Amore.
55Amore i rozzi spirti illeggiadrisce.
Non avete voi letto il Pastor Fido?
Or come dunque ha da soffrirvi il core
Di dare infamia agli amorosi strali?
Ei si diceva, e lo dicea per modo,
60Che coll’alto splendor di quei gran nomi
Mi abbarbagliava in guisa tal la mente,
Che quasi mi rimasi un bel pincone.
Io, fatto muto, rivoltai le spalle,
Dicendo: O bel Parnaso, o bel Permesso!
65Ma voi poeti m’odorate certo,
Sia detto con perdon, di ruffianesmo.

XI

AL SIGNOR FILIPPO ARRIGHETTI

     Qual uom mortale, s’ei riguarda in cielo
L’Alba apparir, delle rugiade amica,
Tra gigli e rose, e presso lei veloce
Via trascorrere il Sol, quasi gigante,
5Stupor non prende? E chi mirando a notte
Stendersi intorno il padiglion stellato,
Ed ivi dentro sfavillar Boote,
Ed ardere Orione, ardere Arturo,
Non si carca a ragion di meraviglia?
10Sommo poter dare alle cose stato,
E trarle di non nulla ad un suo cenno;
Ma tal somma possanza ed infinita,
Non ha forza con noi, perchè devoti
Noi siamo, e pronti ad ubbidir sua legge,
15E pur la destra, onde s’ornaro i cieli
Di tanto lume, ha ne’ profondi abissi
Creata fiamma, e tenebrosi orrori,
Per sempiterna pena a’ suoi ribelli.
Ne vi si pensa; né tremiamo. Or dimmi:
20Che dee dirsi, o Filippo? Io certo affermo,
Che dentro le pupille de’ mortali
Regna gran notte, e che si vive al bujo.
Alto grida Alessandro: è poco un mondo:
Or che sarebbe se n’avesse cento
25Sotto a’ suoi piedi? vincerebbe il tosco,
Che si tosto lui vinse in sull’Eufrate?
Ecco sopra la scena apparir l’altro,
Dal gran sangue d’Assaraco disceso,
E ciascuno appo lui quasi infelice
30Ei sol beato; la beltà suprema
Dell’inclita sorella di Polluce
Ha seco in letto. E che ne trasse al fine?
Armossi Achille, e diè battaglia a Troja,
Rupper le turbe spente al Simoenta
35L’usato corso, ed i sublimi alberghi
Fersi tane di belve. Un sol trastullo
Costò cotanto alle Dardanie genti?
Costo cotanto, e per si fatto modo
S’atterrò d’Ilion l’antica reggia.
40Non sia chi mi riprenda, o che si sdegni
Contra’ miei fogli, s’io non parlo a grado.
L’uom sulla terra di ragion fornito,
Se adoprar non la sa, perde suo pregio,
E tal diventa, quale è belva in lustra.

XII

AL SIGNOR PIER GIUSTINIANI

     Benchè la lunga età non mi consenta
Peregrinare, e che l’ardente estate
Oggi il corpo consigli alla quiete,
Io se dal piede disgombrar potessi
5Gravi ceppi domestici, per certo
Non mi starei: ma dispiegato il volo
Dei pareggiati remi, or sarei teco
Alle bell’acque di Fassolo.. O rive
Dilette a Teti, o sollevate falde,
10Care al coro di Bacco, e di Pomona!
lo le desiro, altro non mi è concesso,
Godile tu, che puoi. Per nostra vita
Incertissimo stame Atropo fila,
E sovente da mal poco temuto
15Siamo assaliti, e spesse volte ancora
Siamo lieti di ben poco sperato.
Dunque viviamo, o Pier Giuseppe: omai
Verrà la Pace desïata, e seco
Cerere sparsa di dorate spiche.
20Quinci le damigelle di Parnaso
Faran carole, ed acinoso Bacco
Di spirti non plebei colmerà l’alme,
E stancheremo l’Apollinee cetre
Se altramente avverrà, noi trarrem l’ore
25Giocondamente, e con franchezza. Il saggio
È tetragono a i colpi di ventura.

XIII

AL SIGNOR GIOVANNI BATTISTA RIARIO

     In quella fiera, che il passato Maggio
Si fece in Massa io non riscossi un soldo,
Che mi fosse da Napoli rimesso,
Onde quel mese, per ciascun fiorito,
5Per me fu secco, e quasi verno; poi
Han sofferto miei piccioli poderi
Tale stagion, che non si può dir peggio:
Piogge ostinate han fatte verminose
E le mele e le pere, e son tornate
10In bozzacchioni le susine; aggiungi,
Che negli angusti solchi del formento
Loglio trionfa, e bestemmiata avena.
Da tanti danni sbigottito, avea
Speranza in Bacco, il buon Padre Leneo
15Fia liberale, e colmeranne i tini,
Ristoreranne la vendemmia: ed ecco
Trascorso un esecrabile scirocco,
Che con torbida vampa in sulle viti
Hanne lasciato i grappoli riarsi:
20La cosa è qui; che debbo far? Conviene
Cercar ne’ duri tempi un buon consiglio:
Se vien la roba men, farò che meno
Vegnan le voglie, ed in bilancia pari
Peserò la vaghezza e la possanza.