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188 | poesie |
II
AL SIG. PIER GIUSEPPE GIUSTINIANI
Giustinïani, a cui mio buon destino
Mi fece amico, le parole ascolta,
Che senza pompa di parlar Toscano,
Io muovo a farti. Qui dappresso il mare
5Sovra uno scoglio io fabbricai palagio,
Di cui l’ampiezza venticinque braccia
Forse consuma: è ver ch’ei si nasconde
Al crudo Borea, e si discuopre a’ fiati
Tepidi d’Austro; sicchè sprezza il verno;
10E quando poscia Febo allunga il giorno,
È percosso da zefiri, per modo
Che la calda stagion non si bestemmia.
Di qui veggo i nocchieri a piene vele
Passeggiar la campagna di Nettuno;
15E posso, quando il ciel non sia velato,
Tanto quanto veder le ricche ville,
Onde son nostre arene alte, e superbe.
Qui mi riparo, e dal rumor plebeo
Involo i giorni, e colle Muse io vivo,
20E fommi Cittadin del bel Permesso,
E ben mi so, che Poesia vien detta
Fra noi felicità disfortunata,
Ricca di povertà; ma ci dimostri
Sciocco Rialto, o Padovana scola,
25Sciocca più, che Rialto, ove soggiorni
La verace quaggiù felicitate.
Visti ho lungo la Dora il sì famoso
Bastïon verde, e dentro il lago Ocneo
Ho veduti dappresso i regj tetti,
30E d’Arno in riva l’ammirabil Pitti:
Ma non vi rimirai la bella donna,
Ond’io ragiono: vi mirai speranze
Mal affrenate, vi mirai timori,
Vidi, che Odio, ed Amore il suo soverchio
35Ivi adoprava, e non vi vidi in somma
Uomo, che usasse un uom chiamar felice.
Perchè dunque sprezzar gli spazj angusti
Della mia capannola, ove talvolta
Non sdegna di apparire il grande Omero,
40E talvolta di Pindaro si ascolta
La cetra degli eroi coronatrice.
O Pier Giuseppe, ore verran, che l’oro
Porranno a ruba; e che gli scettri eccelsi
Mireransi depor dentro una tomba,
45Ma dalla falce, che ogni cosa miete,
Virtù non teme; e rallegrar ten puoi,
Poichè d’essa non sei timido amico.
III
A MONSIG. GIOVANNI CIAMPOLI.
Fra i colli alteri, e lungo il regio Tebro,
Ove per ciascun uom tanto si spera,
E tanto si sospira, or che rimena
L’anno cocenti i dì, che fate, Amici?
5Quali son vostre Aurore? e come lieto
Chiudete a sera il Sol nell’Oceano?
Infioransi le mense, e di bel gelo
Illustrate le coppe? il gran Vesevo
Vi mesce, o pure dal gentil Gandolfo
10Viene a’ vostri conforti il buon Leneo?
O fortunati, se speranza incerta
Con dolce tosco non v’ancide; Roma
Appar, non men che Circe, incantatrice:
Vegna il senno d’Ulisse a farci schermo,
15Ciampoli, quanto vegghi! e come tendi
L’arco della tua mente? ed a qual segno?
Rispondi a’ gran Messaggi, e fai che tuoni
Tua cara voce nelle regie stanze,
Lusingando l’orecchie al gran Senato?
20O del sommo Pastor le voglie esponi
A’ re scettrati? e sulla nobil Senna
E sull’Istro superbo, e sull’Ibero
Con meraviglia fai volar tuo nome?
Vento di puro ciel t’empia le vele,
25Castore ti conduca, un mare immenso
Certo ti s’apparecchia: io d’altra parte
Stommi ozïoso in sulle patrie rive.
Qui solitario i miei pensier compongo,
Sicchè da lungi il grand’Urbano adoro:
30Te nel mezzo del cor porto rinchiuso.
E del fumo Roman nulla sovviemmi.
IV
ALLA SANTITA’ DI NOSTRO SIGNORE
URBANO VIII.
Se riguardando le ragion d’Astrea
Con occhio d’Argo, dando bando a Marte,
E della plebe dispensando a i voti
Cerere bionda, non giammai sei stanco,
5O grande Urban; ma dalle rive Eoe
Febo accompagni fino al mar d’Atlante
Con alma sempre a sì gran cura intenta.
Qual sarà lingua che d’eccelse lodi
Non t’incoroni? e fra le stelle eterne
10Astro non formi ad onorar tuo nome?
Ma qual dall’altra parte orrido spirto
Di barbaro Caton non fia cortese,
Per modo che a Pastor d’alme infinite
Non dia fra tanti affanni alcun conforto
15Alcuna volta? Non distender l’arco
Mai della mente; a ciascun’ora in mare
Farsi nocchiero, e contemplare i lumi
Del crudo Arturo o d’Orïon nemboso,
Chiede un corpo di selce e di diamante:
20Quinci lodato studio a re scettrato
È cacciar fere, e travagliar le selve,
E con tromba innocente eccitar armi,
Non sanguinose tra guerrieri amici.
Or se spirito lasso in dettar leggi
25All’universo può pigliar diletto
Lunge da biasmo, onde gli fia concesso
Più drittamente, che dall’auree Muse?
Sento il popolo sciocco alzar latrati,
Sento mugghiar la plebe, e farsi incontra,
30E saettarmi con viperei scherni.
Ma non fia ver, che me ne caglia; frali
Sono gli assalti delle lor menzogne.
Se fu chi poetando empieo le carte,