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186 | poesie |
Ed io cantando di soavi venti
La ben cerata mia sampogna empiea,
42Finchè in tiepidi pianti, ed in lamenti
M’ha posto, Tirsi, la tua morte rea.
V
MOPSO, DAFNE, MELIBEO.
Mopso.
Oggi il quint’anno si rivolge, ah dura
Per noi memoria! che sul fior degli anni
3Tirsi fu chiuso nella tomba oscura,
Mira, che il vago Sol par che si appanni
Di folte nubi, e questa piaggia mesta
6A qualche gran diluvio si condanni.
Soave rusignuol qui non s’arresta,
Solo s’arresta tortora dolente,
9O con ria voce nottola funesta.
Ciò nostri danni ci ritorni a mente,
E dell’alma gentil ne’ cor divoti
12Non sian giammai le rimembranze spente,
Dafne solleva su per l’aria, e scoti
Il caro cembanel ben conosciuto,
15Quando con dita musiche il percoti.
E tu, buon Melibeo, non esser muto,
Con dotta mano ora riapri, or chiudi
18I varj fori del tuo nobil fiuto.
La gloria singolar de’ vostri studi,
Amorosi Pastor, non venga meno
21Del nostro caro Tirsi alle virtudi.
Dafne.
Morte crudel non spense il tuo veneno
Tirsi, che col bel canto a tutte l’ore
24Spegneva l’ira delle tigri in seno?
Melibeo.
Tirsi, che col bel canto ebbe valore
Frenare i fiumi in corso, invida morte
27Non poteo raffrenare il tuo furore?
Dafne.
Non ti dolse di lui, di cui la sorte
Ogni più dura rupe, ogni montagna
30A grand’onta di te piagne sì forte?
Melibeo.
Odi crudel, come per lui si lagna,
Come incolpando te, traggono guai
33Ogni fiume, ogni bosco, ogni campagna,
Dafne.
Or se il pregio dell’Arno amasti mai,
E se pregi virtute, o peregrino,
36Un sì caro sepolcro onorerai.
Melibeo.
Spargi croco, viole, e gelsomino,
Che non vedrai pastor tanto gentile,
39Ne da lontano mai, nè da vicino.
Dafne.
Se lupo depredava il nostro ovile,
Tirsi dava ristoro alle sventure,
42Che l’altrui pianto non aveva a vile.
Melibeo.
Se tempesta offendea l’uve mature,
Sempre le nostre lagrime dogliose
45Del soccorso di Tirsi eran sicure.
Dafne.
Qual fra la ruta mammole odorose
Era Tirsi fra gli altri in questa riva,
48Ma troppo tosto Morte il ci nascose.
Melibeo.
Qual fra stagni a mirar fontana viva
Era Tirsi fra gli altri in questa piaggia,
51Ma troppo tosto n’è rimasta priva.
Mopso.
Limpido rivo, che da monte caggia,
Spruzzando in più zampilli il puro argento
54Per solitaria via d’ombra selvaggia,
E tra rami di pin soffio di vento,
Quando il celeste Can più coce l’erba,
57Non saprebbe adeguar vostro concento,
Su val di Tebro omai voce superba
In van presume contrastar con voi,
60A’ cantor di Firenze oggi riserba
Febo il più singolar de’ pregi suoi.
VI
URANIO.
Bizzarro mio, che sì barbuto il mento
Movendo per lo campo i passi tardi,
3Come altier Capitan guidi l’armento;
Perchè sì bassi, e sì pensosi i guardi
In terra volgi? e pure i piè ti miri?
6Ed oltremodo il tuo cammin ritardi?
Per avventura Tirsi oggi desiri?
E lui non rimirando hai disconforto,
9E così ci palesi i tuoi martiri?
Bizzarro mio, nostro buon Tirsi è morto;
Per lunga strada di campagne scure
12Lunge da noi nostro buon Tirsi è scorto.
Tu fra le balze delle rupi dure
O ti dirocca mortalmente, ovvero
15Apprestati a soffrir crude venture.
Io poi, che più letizia unqua non spero,
Da queste piaggie penso far partita,
18Ed a più non tornar fermo il pensiero.
Foresta più deserta, e più romita
Sarà mia stanza; il cupo orror di Verna,
21O pur di Falterona avrà mia vita.
Strana cosa a pensar, che ci governa
Morte sì ciecamente, e che nel Mondo
24Nulla non sia, che le sue leggi scherna!
Tirsi sul fior degli anni ha messo in fondo,
Ed alcun poscia lascerà canuto,
27Che a lui non sarà terzo, nè secondo.
Or che mi rechi, o Farfallin, venuto
A volo verso me senza ritegno?
30Oh la seconda volta ecco starnuto.
Ciò di liete novelle hassi per segno,
Ma sciocco me: non così dice Alcasto,
33Che ha nell’indovinar cotanto ingegno.
Ei mi suole affermar, che invan contrasto,
E che letizia non convien, che aspetti;
36Io per sì dura vita omai non basto:
Lasso! dove son iti i miei diletti?