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del chiabrera | 183 |
XVII
AL SIG. GABBRIEL CHIABRERA.
Qual peregrin, che fuor di sua contrada
Per chiusa valle, e per aperto campo,
Con piè, che tema ad ogni passo inciampo,
4Compagno delle tenebre sen vada:
Tale, o Chiabrera mio, per quella strada,
Che a Pindo è scorta, e ch’io varcare avvampo,
L’orme notturne della mente io stampo,
8Onde convien, che misero alfin cada.
Tu, che la via ben sai, siami, se godi,
Che più non mi precipiti il desio,
11Duce con l’ammonir, Sol con le lodi.
E chi sa, ch’anco un dì, posto in obblío
Pianger, com’un crin biondo il cor mi annodi,
14Non sollevi Giuditta il canto mio?
XVIII
RISPOSTA DEL SIGNOR
GABBRIELLO CHIABRERA.
Con due bei gioghi nella terra argiva
Fende un monte gentil l’aure serene,
Ed indi verso il pian l’almo Ippocrene
4Scende rigando l’odorata riva.
Al mormorio della bell’acqua viva
Pur con cetera d’ôr Febo sen viene,
Ivi degna del suon l’alme terrene,
8E d’altra piaggia la sua voce è schiva.
Caro mio Giustinian, la greca scola
Altrui corona, e con invitte piume
11Cigno di Grecia oltre l’obblío sen vola.
Corri alle ripe di quel chiaro fiume,
E la tua nobil sete ivi consola;
14Sì viverai sovra l’uman costume.
XIX
DI GABBRIEL CHIABRERA
Ad Ansaldo Cebà per Federico Spinola.
Il pregio altier, che l’immortal Farnese
Colse dell’ampio Scalde in sulle sponde
Il nobil cor di Federico accese
4Sicchè ’l cercò dell’Oceán fra l’onde.
Sasselo il Belga, e ’l congiurato inglese,
Che giogo al fin non attendeano altronde:
Ma spento sul fiorir dell’alte imprese
8Ci cosparge di lagrime profonde.
Centurïon non sì sublime sorse
Mai per altrui virtù nostra speranza
11Oggi ’nterrotta come fragil gelo.
Pur s’ei come balen quaggiù trascorse
Eterno in alto di bei rai s’avanza,
14E fa più chiaro dell’Italia il cielo.
XX
RISPOSTA D’ANSALDO CEBA’
SOPRA IL MEDESIMO.
L’ardente fiamma, onde ’l suo sangue spese
Il re del Ciel con piaghe aspre e profonde,
Il cor cred’io di Federico accese
4A dargli ’l suo dell’Oceán sull’onde.
Ne ’l generoso ardor del gran Farnese
Forse prendea le sue faville altronde,
Ma quel ch’all’un vestì l’aurato arnese,
8Spinse l’altro di Scalde in sulle sponde.
O se’l cor d’Alessandro unqua distorse
Di men degno splendore altra sembianza,
11Dond’ei cangiasse sotto l’arme il pelo.
Il cor di Federico, in cui non sorse,
Se non di vera gloria alma speranza,
14Accenderà d’un più bel lume il cielo.
XXI
DEL REVERENDISS. DON ANGELO GRILLO.
Questi, ch’al suon di lagrimosa lira
Or piangi estinti folgori di Marte,
Han vita nelle tue funeste carte,
4E la tua fama la lor fama inspira.
Ed al tuo caldo sospirar sospira
Chi legge i casi infausti a parte a parte
Nelle meste querele, e ammira l’arte,
8E ’l carme, in cui la propria morte spira.
E perdendo han maggior vittoria quivi,
Che non avrian vincendo ove i lor busti
11Giacquer; ma non l’ardir, no ’l gran valore.
Deh! se d’onor terren, spirti divini,
Nel ciel vi cal, miratevi ora augusti,
14Ed immortali in stil, che mai non muore.
XXII
RISPOSTA DEL SIGNOR
GABBRIEL CHIABRERA.
Come l’anime Amor crudo martíra,
Angelo, e come i cor divelle e parte,
E con qual vïolenza, e con qual arte
4Guardo di donna a vaneggiar ne tira,
Toscana insegna; e di tormenti e d’ira,
Di facelle e di dardi empie le carte,
E le sovra Arno melodie cosparte
8Cigno di Citerea gorgheggia e spira.
Ma le belle alme, Italia, onde fiorivi,
Che ti cinsero il crin d’allori augusti,
11Qual nostro Pindo è, che cantando onore?
Io ben già mossi al nobil canto, e rivi
Sparsi di pianto agli onorati busti:
14Ma che feci io? se non mi scusa amore?