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180 poesie

X

Con sorrisi cortesi
     Con dolci sguardi accesi;
     E con atti soavi,
     Bella tigre, giuravi,
     5Che lieto io n’arderei,
     E lieto io morirei:
     Lasso, ch’io moro ed ardo,
     Ne veggio riso, o sguardo
     Ch’irato non m’accori;
     10Nè trovo a’ miei dolori
     Pur ombra di mercede:
     Ecco la bella fede,
     Che con atti soavi,
     Bella tigre giuravi.

XI

Agli occhi di Gelopea.

Occhi, quando vi miro
     Mojomi di martíro,
     Ch’io pur mi venga meno,
     E non vi baci almeno:
     5E quando io non vi miro
     Mojomi di martíro,
     Ch’io par mi venga meno
     E non vi miri almeno:
     Così mia dura sorte
     10Menami ognora a morte
     Col duol di non baciarvi,
     Col duol di non mirarvi.


SONETTI


I

AL PRINCIPE

D. CARLO MEDICI CARDINALE

Lodagli la liberalità.

Sempre del vulgo vil vegghia la cura
     Gemme adunando, e non è mai lontano
     Dall’arche aurate, e poscia ampio Oceáno
     4N’inghiotte il nome, e cieco obblío sel fura.
Anima altiera, e di goder sicura
     Fama di grido eterno, apre la mano
     Larga dell’ôr; nol ti rammento invano,
     8Spirto real, dal cui mattin s’oscura
Ogni altro Sol; tu del purpureo manto,
     Tu del gran Vaticano innalza i pregi;
     11Ed io tuoi pregi innalzerò col canto.
Deh non per ira la mia fè si spregi,
     O l’ardir si condanni! è giusto il vanto
     14Quando sen fa tributo a merti egregi.

II

AL SIG. GIO. BATTISTA STROZZI

Ch’ei non pensi sull’avvenire.

Strozzi, chi gode sul gioir presente
     Appaghi il cor; quel che per nom s’attende
     Tempo avvenir, verrà quasi torrente
     4Quando tributo al mar tranquillo rende:
O quasi fiume altier quando fremente
     Conturba l’onda, ed adirato scende;
     Allor da lunge il peregrin, che sente
     8I gran rimbombi, alto stupor ne prende.
Ma quei di svelte piante empie le strade,
     E sforzando nei campi argini e mura
     11Porta diluvio alle cresciute biade.
Strozzi, nube ricopre orrida e scura
     Ciò, ch’a noi serba la futura etade:
     14Di lontana stagion non prendiam cura.

III

AL SIG. CRISTOFANO BRONZINO

Dipartendosi da lui.

Già con la notte pareggiando il giorno
     Febo de’ raggi suoi tempra l’ardore;
     Ed a’ lidi paterni io fo ritorno,
     4Nè so, Bronzin, se t’uscirò dal core.
Deh! se forma di Pindo il sacro orrore
     Mai tuo pennello, onde i più chiari han scorno,
     Me dipingi tra polve e tra sudore,
     8Non dell’altiera fronde il capo adorno.
Per l’alte di Permesso ombrose scene
     Espommi agli occhi altrui misero cigno
     11Lento lento poggiar verso Ippocrene.
Ben col peso cadrei delle mie pene;
     Ma Cosmo, dell’Italia astro benigno,
     14Con l’inclita sua man pur mi sostiene.

IV

AL SIG. DOMENICO BAMBERINI

Non è da fidarsi nel mondo.

Zefiro corse, e presi i nembi a scherno
     La terra di bei fior fece gioconda;
     Poi sotto il carro dell’ardore eterno
     4Le spiche n’indorò Cerere bionda:
Oggi buon genitor di buon Falerno
     Viensene Autunno, che di frutti abbonda;
     Indi spargerà neve orrido Verno,
     8E d’ogni rivo porrà freno all’onda.
Or se nulla quaggiù tien fermo il piede,
     Che non s’apprende dal volubil anno
     11A fugace piacer non prestar fede?
Teco parla così carco d’affanno,
     Bamberin bene amato, un, che sel vede,
     14Ne sciorsi sa dal manifesto inganno.