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del chiabrera | 171 |
25Nuova fiamma
Più m’infiamma,
Arde il cor fuoco novello:
Se mia vita
Non si aíta,
30Ah! che io vengo un Mongibello.
Ma più fresca
Ognor cresca
Dentro me sì fatta arsura:
Consumarmi,
35E disfarmi
Per tal modo ho per ventura.
Dïoneo,
Tïoneo
Quando fu che fosser rei?
40O Pinelli,
I più belli
Son costor degli altri Dei.
Deh dispensa
Sulla mensa,
45Che ci fa sì lieta erbetta,
Damigella
Tutta bella
Di quel vin che più diletta.
Già famosa,
50Glorïosa
Si dicea la Vite in Scio;
Ma quel vanto
Non può tanto,
Che si appagbi il desir mio.
55Odo ancora,
Che s’onora
La vendemmia di Falerno;
Ma per certo
Più gran merto
60È d’un pampino moderno.
Ogni noja
Vien, che moja
Annegata quando io bevo;
Pur beato
65Fa mio stato
La Vendemmia di Vesevo.
Or su movi,
Donna, e piovi
La rugiada Semelea:
70Metti cura,
Ch’ella pura,
Pura sia Tïonïea.
Di mia Diva,
Se si scriva
75Il bel nome, è con sei note;
Or per questo
Io m’appresto
A lasciar sei coppe vote.
Ma se io soglio
80Nel cordoglio
Sempre dir del suo bel vanto;
Maggiormente
Al presente
N’ho da dir, che rido e canto.
85Son ben degni,
Che io m’ingegni
Quei begli occhi ad onorarli;
Son ben degni,
Che io m’ingegni
90Quei bei risi a celebrarli.
Fama dice
La Fenice
Apparir nel mondo sola;
Che si mira,
95Che s’ammira
Per ciascun quando ella vola:
Che le piume
D’aureo lume,
E di porpora è vestita;
100Che d’intorno
Spande giorno
Con la testa oricrinita.
Qual Fenice
Uom mi dice?
105Fumi sono i pregi intesi;
Più si mira,
Più s’ammira
Sovra i liti Savonesi.
Via più sola
110Qui sen vola
La bellezza, onde io tutto ardo:
Più di luce
Qui produce
L’Orïente del suo sguardo.
115Viva rosa
Rugiadosa
Di costei la guancia infiora:
Mai tal ostro
Non fu mostro
120Per l’augel che si s’onora.
O Fenice
Beatrice
Del mio cor con tua beltate;
Ben poria
125L’alma mia
Dire ancor tua feritate.
Che se gira
Sguardo d’ira
La tua vista disdegnosa;
130Non ha fera
Cosi fiera
Per l’Arabia serpentosa.
XLIII
Che non essendo ricco pensa solamente
a provvedersi di vino.
Questo tronco di noce,
Stato al Sol quando ei coce,
Tre anni rovesciato,
Ond’è ben stagionato,
5O Marangon, consegno
Al tuo sottile ingegno.
Alma ricca d’argento
Faria comandamento,
Ne fosser fabbricate
10Arche bene inchiodate,
Da ripor suo tesoro:
Io, che oncia non ho d’oro,
Non ho cotal vaghezza.
Che ricchezza, e ricchezza?
15Perano quante flotte
Ci furo mai condotte:
Dunque ogni affar tralascia,