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del chiabrera | 161 |
Se chiedi quale ei fu, basta che io dica
Jacopo Doria; che di nobil sangue
Egli splendesse, che sovrani scettri
Ei sovente mirasse in man de’ suoi,
Ciascun sel sa; ma veritate ascolta
Grande ad udirsi: così fatte doti,
Onde l’umano ingegno è tanto altero,
Non mai nel petto suo crearo orgoglio.
Sempre a lui visse cortesia compagna;
Ma la sozza avarizia ebbe in dispregio.
Nol saperan tacer del bel Parnaso
L’inclite ninfe. O scellerata Cloto,
Maledetta tua man, per cui si estinse
Di verace virtù sì chiaro lume,
Quando erano fra noi l’ombre più folte.
V
PER IL SIGNOR GIAMBATTISTA PINELLI.
Nell’alme scuole della saggia Alfea
Appresi giovinetto il bel cammino
Da sormontare all’Ippocrenie piagge,
E giunto colassù mi dieder mano
Cortesemente Calliope e Clio,
E dell’alloro, che fioría sul Tebro
Mi cerchiaro le tempie, onde mio nome
Non mai sommergerà golfo di obblío:
Quinci impari ciascun, che per virtude
Trïonfar puossi dell’orribil morte.
Ebbi per patria la città di Giano:
Fornii miei giorni non ancor canuto:
Qui mi han sepolto i non bugiardi amici.
V
PER IL SIGNOR BARTOLOMMEO RIARIO.
De’ Riarj fu prole, ed ebbe culla,
E sepolcro in Savona. Ei giunse a morte
Condottovi da pietra in gioventute.
Ma pianger non si dee, come per tempo
Dal mondo uscito: Voi, mortali, errate,
Per vero dir, nel conto della vita
Sol numerate gli anni, e non guardate
All’opre glorïose di virtute.
VII
PER IL SIGNOR AMBROSIO SALINERO.
Fu ver che Ambrosio Salinero a torto
Si pose in pena d’odïose liti
Ben lungamente, e vero fu, che a torto
Assai più lungamente a soffrir ebbe
Tormento d’infestissima podagra:
Ma non per tanto è verità, che ei vinse
Con franchezza di cor pena e tormento,
E fu forte a seguir le belle Muse.
Non è chiuso sentier, che meni all’ombra
Dell’amate foreste di Parnaso,
Che a lui fosse nascosto: e non è calle,
Che scorga a’ puri rivi d’Ippocrene,
Che a lui non fosse aperto. Il sa Savona,
Ove nascendo ei vide il primier Sole,
Ma non gli fece onor di sepoltura,
Perchè alla nostra età non prende i cori
Altro che l’oro. Or questa rimembranza
In questo picciol sasso ha qui riposta
Il senza lui solingo suo Chiabrera.
O tu che passi, e queste note leggi,
Credi, che grande amor non mi abbarbaglia.
Fu costui degno, che di sua memoria
Duri dove è memoria del Permesso.
VIII
PER MONSIGNOR GIUSEPPE FERRERI
ARCIVESCOVO DI URBINO.
O tu, che muovi alla tua strada intento,
Avvegna che t’affretti, il corso arresta,
Che non avrai di che pentirti. Io nacqui
Dentro Savona di gentil famiglia,
Poscia la gioventù spesi sul Tebro
Fra’ studj sacri, ed il roman pastore
Diemmi d’Urbino a custodir la greggia.
Molto vegghiai, molto sudai; nè forza
Ebbi per ischifar strano disdegno.
Da’ maggiori del mondo io fui percosso,
Ma non cadei, chè la virtù mantiensi
Saldamente appoggiata a sè medesma:
Al fin servendo al glorïoso Enrico
Re di Parigi, io mi vedea vicino
A raccor di sua mano alta mercede,
Ma venni a morte: or tu che leggi, impara
Quanto in sua fede è traditore il Mondo,
Ed in Dio spera, al cui giudicio eterno
Devono sottoporsi anche i potenti.
IX
PER MONSIGNOR ABATE
FRANCESCO POZZOBONELLO.
Non senza gran cordoglio il zio ripose,
Però che il padre allor vivea lontano,
Qui dentro il dilettissimo nipote.
Egli chiamato a nome era Francesco,
Pozzobonelli la famiglia, e quando
Rinchiudeansi le membra in questi sassi,
Andò tutta Savona in caldo pianto.
E perchè no? fiorito appena avea
Il ventesimo april della sua vita,
E con vera virtù porgea speranza
D’allegrezza alla patria, ed ai parenti
Prometteva conforto, e degli amici
Non lasciava languire i bei pensieri.
Or come non son sparsi a gran ragione
Dirottissimi pianti? O qui nel mondo
Anima poco tempo peregrina,
Godi l’aure serene dell’Olimpo:
E giuso in terra a questi marmi intorno
Sorga di rose eterna primavera
In rimembranza del gentile odore,
Che sentiasi spirar da’ tuoi costumi.