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152 poesie


XVII

PER LA MEDAGLIA

DEL GRAN DUCA E GRAN DUCHESSA

DI TOSCANA

Donatagli dall’Altezza loro.

Questo fin or d’almo tesoro ornaro,
     Imprimendovi il bel di lor sembianza,
     I lie d’Arno, e d’Italia alta speranza,
     4Ed a me graziosi indi il donaro:
Io men dell’òr, che di lor glorie avaro,
     Sforzo il cor, che per sé poco s’avanza,
     E dell’ingegno mio l’egra possanza
     8Sulle piagge di Pindo ergere imparo:
Quando nell’Ocein Febo rinchiuse
     Posa le ruote, e quando in ciel dorate
     11Su rapidi destrier spiega le chiome,
Sempre co’ voti miei stanco le Muse,
     Sì di sì cari re per ogni ctate
     14D’oro, via più che l’òr, desiro il nome.

XVIII

INVITA

BERNARDO CASTELLO

A dipingere la Signora N.

Quale infra l’aure candide, succinta
     Il puro sen dì rugiadosi veli,
     La bellissima Aurora indora i cieli,
     4L’aurato crin su gli omeri discinta:
Qual tra le vaghe nubi Ivi dipinta,
     Che l’ammirabil arco al Sol disveli,
     Costei ne sembra, che tra fiamme e geli
     8Ogni più forte libertate ha vinta,
Castello, al cui pennel diede natura
     L’istesse tempre di color suoi vivi,
     11Contra la forza de’ crudi anni avari,
Se in carte pingi mai l’alta figura,
     Sì fatte note a lei d’intorno scrivi:
     14La Galatea de’ Savonesi mari,

XIX

Al medesimo per la stessa Pittura.

Se l’opra, ove mio stil per sè vien meno,
     Ami fornir, sicchè ten pregi, Amore,
     Castel, disprezza ogni mortal colore,
     4Nè governi tua man studio terreno.
Fura del Sole in puro ciel sereno
     La vaga luce, e de’ bei rai l’ardore,
     E fura all’Alba, che d’April vien fuore,
     8L’ostro del volto, ed il candor del seno.
Sì quella ritrarrai, che in van descrivo,
     Rosata guancia, e quelle fiamme accese
     11Del guardo, che sì dolce ardore insegna,
È quello, onde mi moro avorio vivo
     Del nobil petto, e quella man cortese,
     14Che mio cor, benchè vil, predar non sdegna.

XX

PER LA CONTESSA

ANGELA ARDIZIA

Che ballava il Brando di Casale.

Angela io vidi, che a mostrarne scese
     Le vie del ciel, me l’affermava Amore;
     Ma del volto mirar l’almo splendore
     4L’infinita sua luce il mi contese.
Vidi ben io, che dalle reti tese
     Per la sua man non avea scampo un core,
     E che d’ogni aspro gelo era il rigore
     8Piccolo schermo alle sue fiamme accese.
Quanti fea passi in bella danza, quanti
     Di quel leggiadro fianco erano i giri,
     11Tanti facca languir fervidi amanti.
Chi non ama penar, costei non miri:
     Ma qual Alma per lei non sparge pianti,
     14Non sa come bearsi intra’ martiri.

XXI

PER LO QUINTO CANTO DI DANTE

DIPINTO DA CESARE CORTE.

Perchè forte ragion freni il talento,
     Sicchè non corra, ove lussuria spinge,
     Dante procella sempiterna finge,
     4Di condannato Amor degno tormento:
Or perchè rimirando aggia spavento
     Chi troppo acceso a mal amar s’accinge,
     Su breve carta Cesare dipinge
     8Gli orridi verni del Tartareo vento.
E sì dotto pennello inganna i sensi,
     Che l’occhio scerne in turbini funesti
     11Tutta agitar la region profonda,
Febo, se premio alla virtù dispensi
     Dell’alme foglie, onde il Cantor cingesti,
     14Le sagge tempia del Pittor circonda.

XXII

A FERDINANDO MEDICI

GRAN DUCA DI TOSCANA.

Sol dagli aspri Appennini il mar Tirreno
     Fin dove ai Peregrin rompe il sentiero,
     E la Pescia e la Macra, angusto impero,
     4Di Ferdinando è sottoposto al freno.
E pur l’Istro da lunge, e pure il Reno,
     E pur l’altezza del superbo Ibero
     N’ammira il nome; e di più glorie altero
     8Lui fa la Senna riverir non meno,
Ovanque inonda |’ Anfitrite Egea,
     Ovunque per Nettun Libia risuona,
     11Conturba il corso de’ suoi nobi Legui;
Ne senza lui sbandisce l’armi Astrea,
     Nè scuote asta di sangue unqua Bellona;
     14Sì per alta virtù crescono i legni.