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del chiabrera 137

     15Dal bel collo gentile
     Pendeva aureo monile,
     Dall’orecchie di rose
     Due perle prezïose;
     Ma sulla chioma d’oro
     20Era vario lavoro
     Di rubini e smeraldi.
     Tal ne’ mesi più caldi
     Sull’onda cristallina
     D’una calma marina
     25Splender veggiam la Luna
     Entro la notte bruna:
     Ma non le parve assai
     L’ardor di sì bei rai,
     Che fra cotanto lume
     30Erse cimier di piume,
     Che in alto si scuotea,
     E in alto risplendea.
     Fama par, che ci scriva,
     Che l’Aïrone schiva
     35La tempesta, e la pioggia,
     Onde volando ei poggia
     Oltra le nubi oscure,
     Per far l’ali sicure
     Dall’orride procelle:
     40Ma se fra l’auree stelle
     Volse talora alzarsi,
     Cessi di ciò vantarsi,
     Poi fece su quei crini
     Soggiorni più divini.
     45Dunque sì fatta apparse
     La bella Donna, ond’arse
     Ogni alma, ed ogni petto:
     Amor, quasi valletto,
     Ivale innanzi altero,
     50Rischiarando il sentiero
     Di sovraumano ardore:
     Io come vidi Amore,
     Così me l’appressai,
     E così favellai:
     55O re, tra le cui schiere
     Fu mio sommo piacere
     In sul fiorir degli anni
     Soffrir guerre, ed affanni.
     Da che ciel, da che parte
     60Tanta beltà si parte?
     Perchè vien ella? E come
     Fra noi si chiama a nome?
     Ei mi rispose, Elena.
     le l’ebbi inteso appena,
     65Che fervido gridai:
     O fortunati guai!
     O felice ventura
     Delle Trojane mura!
     O sangue ben versato
     70Di tanto Mondo armato!
     Mentr’io così dicea
     Amor ne sorridea;
     Indi così rispose:
     Quale istoria di cose
     75Bugiarde, ed infelici
     Ora racconti, e dici?
     Non fu bellezza viva
     Quella d’Elena Argiva:
     Parnaso, ed Ippocrene
     80A dimostrar quai pene,
     Quai sospiri, quai pianti
     Porgano rei sembianti,
     E perfide fattezze
     Finsero tai bellezze.
     85Io, perchè il mondo veggia
     Come onorar si deggia
     Una vera beltate,
     E come fortunate
     Sian le fiamme cocenti
     90Di due begli occhi ardenti,
     Allor che gli governo,
     Dall’alto ciel superno
     Costei scorgo, in cui luce.
     Quant’ebbi mai di luce.

LXXXVIII

Che non si lascerà adescare ad amare.

Nigella, o ch’io vaneggio,
     O che per certo io veggio
     Certi risi novelli
     Accesi, infiammatelli,
     5Onde dimostri fuore
     Un non so che del core:
     Chi fosse meno esperto
     Estimeria per certo
     Quei risi di beltate
     10Esser qualche pietate;
     Ma me non tireranno
     Quei risi in tanto inganno.
     Se per li rai lucenti
     Di quei begli occhi ardenti,
     15Nigella, mi giurassi,
     Che tu tantino amassi;
     Ed io, per gli occhi miei,
     No, non tel crederei:
     Ridete, e sorridete,
     20Care stelluzze liete,
     Che io veramente il giuro,
     Di voi son ben sicuro,
     Ben so quale scogliuzzo
     Di superbo orgogliuzzo
     25Vi si nasconde in seno,
     E so di che veneno
     L’anima ei pascete:
     Ridete, e sorridete,
     Che io veramente il giuro,
     30Di voi son ben sicuro.
Ben vedrò volentieri
     I crin tra biondi, e neri
     Lucenti a meraviglia,
     E sotto le due ciglia
     35L’un occhio, che sfavilla,
     E l’altro, che scintilla,
     Soli vivaci, e veri;
     E vedrò volentieri
     Le rose porporine
     40Sulla guancia di brine:
     Ma che io riscaldi il core
     Giammai del vostro amore,
     Sicchè io spiri un sospiro,
     O che io senta un martiro,
     45Giammai nol vederete:
     Ridete, e sorridete,