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134 poesie

     Mille n’ebbe il mondo, e più;
     Ma che dolce i cor stringessero,
     E qual voi, l’anime ardessero,
     35Occhi belli, unqua non fu.
Col bel negro, onde si tingono,
     Col bel bianco, onde si cingono
     Le pupille, ond’io morì;
     L’alme stelle in ciel non durano,
     40E del Sol tutti si oscurano
     I rai d’oro a mezzo il dì.
Ma di lor quantunque dicasi,
     Ogni lingua in van faticasi,
     Da mortal peso non è:
     45L’alte Muse a dirne prendano,
     E le corde e gli archi tendano,
     Onde il biondo Apollo è Re.

LXXIV

Che essendo vecchio non può amar più.

Ecco turbano il ciel nuvoli oscuri:
     Non è seren che lungo tempo duri.
Su per la falda erbosa
     Di Fiesole diletta
     5Oggi non è da far lungo cammino;
     Entro nube piovosa
     Al mar Febo s’affretta:
     Ma che? sorgerà chiaro in sul mattino;
     Forse anche i raggi suoi non saran puri:
     10Uomo mortal dell’avvenir non curi.
Clori, la cetra aspetto,
     Recala omai: cantando
     Tornerà il verno in grazioso Aprile.
     Già fu legno negletto,
     15Poscia il gran Ferdinando
     D’oro fregiolla, e non la tenne a vile;
     I cui nobili esempj a i dì futuri
     Deggio io mandar dal cieco obblio sicuri.
O se gel di vecchiezza
     20Non m’empiesse le vene,
     Possente intoppo all’amoroso ardore;
     Come l’alta bellezza
     Di tue luci serene
     Udrebbe Arno cantarmi a tutte l’ore!
     25Ma vuol ragion, che io di sottrar procuri
     All’incendio d’Amor gli anni maturi.
Rapida gioventute,
     Che tra suoni e tra danze
     Nudrisci il vaneggiar de’ vaghi amanti,
     30Teco io veggio perdute
     Mie soavi speranze,
     Onde m’assale aspra cagion di pianti:
     Clori, non fa mestier ch’io più tel giuri:
     Leggonsi in fronte i pensier gravi e duri.
35Ecco turbano il Ciel nuvoli oscuri:
     Non è seren che lungo tempo duri.

LXXV

AL SIGNOR TOMMASO STRINATI

È da ricrearsi nelle stagioni nojose.

Or che volgono al ciel si calde l’ore,
     Non vo’ pensier che mi contristi il core.
Solo di scoglio in scoglio
     Il Polpo sforzo, che con cento braccia
     5Avviticchiato sua difesa attende;
     O col tridente io toglio
     La cara vita al buon Dentale in caccia,
     Che il puro tergo rosseggiando splende;
     O con ami inescati io traggo fuore
     10Dal mar la Triglia di mie mense onore.
Ma poichè i lidi estremi
     Varca d’Atlante, ed i destrier suoi pronti
     Il Sol pasce ne’ campi di Nereo,
     Io sospendendo i remi,
     15Là dove s’apre valloncel tra’ monti,
     Al trasvolar dell’aura mi ricreo:
     Aura, che sparge di selvaggio odore,
     Onda, che di zaffir veste colore.
Tu d’Arno infra le sponde,
     20Ove son use rinfrescar le vene,
     Caro Strinati, l’affocate genti
     Senti cantar gioconde,
     Alternando co’cigni alme sirene
     I cotanto d’Amor dolci tormenti,
     25O Cosmo a segno di real valore
     Non degli altri suoi Cosmi arcier minore!
     Or che volgono al ciel si calde l’ore,
     Non vo’ pensier che mi contristi il core.

LXXVI

A CLORI E DORI

Che cantino della sua Donna.

Duo bei veli distinti
     Di perle e di giacinti
     Io ti consagro, o Clori,
     E ti consagro, o Dori,
     5Bel monil di coralli,
     Bel monil di cristalli;
     Clori nel ciel volando,
     Dori nel mar notando,
     Deh cortesi cantate
     10L’infinita beltate,
     Onde ho sì dolce guerra;
     Che io per ventura in terra
     Non lascerò suo vanto,
     Senza pregio di canto.

LXXVII

Desidera di riveder gli occhi della Sua Donna.

Deh dove son fuggiti,
     Deh dove son spariti
     Gli occhi, de’ quali a i rai