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110 | poesie |
VII
AL SIG. FRANCESCO BUSSONI.
Come franco augelletto,
Che sul mattin d’Aprile
Trascorre a suo piacer l’aure odorate,
Tal a mio gran diletto
5In sull’età gentile
Il tesor mi godea di libertate:
Nè che trecce dorate
Con bei lucidi rai,
Nè che fronte serena
10Altrui mettesse pena,
Nel profondo del cor credea giammai;
Nè che begli occhi ardenti
Distillassero assenzio di tormenti.
Giocondissima vita,
15A che scoglio rompesti?
Ah ch’ora apprendo in dure scole il vero!
Dolce guancia fiorita,
E di splendor celesti,
Acceso sguardo di bell’occhio nero,
20Soave riso altero,
Che da vermiglie rose
S’avventa agli altrui cori
Con aure, e con odori
Di mille primavere alme amorose,
25Amor fermommi avanti,
E mi fece un de’ più riarsi amanti.
Allor dagli occhi miei
Partissi il sonno a volo,
E di più ritornarci il prese obblio,
30E degli alpestri, e rei
In sul giogo più solo
Fu da quell’ora innanzi il sentier mio:
Ne per monte vid’io
Ombra giammai sì scura,
35Ne sì selvaggi sassi,
Che ivi entro non mirassi
Due fresche guance, ed una fronte pura,
Una bocca vermiglia,
E due stelle del ciel sotto due ciglia.
40E si potea l’inganno
Coll’infiammata mente,
Che refrigerio al mio dolor chiedea;
E del mio grave affanno
Pur, siccome presente
45N’avessi la cagione, io mi dolea;
E dagli occhi piovea
Calde lagrime spesse,
Compagne de’ martiri;
E con lunghi sospiri,
50E con parole fervide dimesse
Pregava a mio potere,
Che bell’armi d’amor son le preghiere.
Ma se scorsi talora
La verace bellezza,
55Non mai le labbra a favellare apersi;
Anzi le guance allora
Di mortal pallidezza,
E di tenebre gli occhi io ricopersi;
La fronte e ’l volto aspersi,
60E di sudore il seno,
Ed avvampando ardito,
E tremando smarrito,
Or in fiamma, or in gêl mi venni meno,
E fui di spirto privo,
65Se morto io dir nol so, certo non vivo.
Così del viver mio, Bussoni, il corso
In fino a qui fu grave;
Oh vegga per innanzi un dì soave!
VIII
AL SIG. LUCIANO BORZONE
PITTORE.
Se di bella, che in Pindo alberga, Musa,
Caro Borzon, non è preghiera invano,
Oggi i pennelli tuoi récati in mano,
E vieni ad adornar mia Siracusa:
5Qui, se vuoi, d’Aretusa
Nel mar fa correr l’onda,
Novello duol d’Alfeo,
O volgi Dafne in fronda
Lungo esso il bel Peneo.
10Forse vorrai, che l’Agenorea prole
Lasci sul Toro la paterna ghiaja:
Sia ciò che vuoi, che con le suore Aglaja
Da’ tuoi colori unqua partir non vuole:
Ma se pur come suole,
15Non sdegna il tuo desire
D’appagarmi a quest’ora,
Dipingi l’apparire
Della celeste Aurora.
Per le piagge del ciel con man rosata
20Vibri face a scacciar l’ombra notturna;
E cinta di rubin la fronte eburna
Spieghi le chiome d’ôr crocaddobbata,
Succinta, e coturnata
Per entro aër sereno
25Leggiadra ella sen vada;
E sul verde terreno
Versi fresca rugiada.
In mirar l’ammirabile bellezza
Rasserenisi il volto all’Universo;
30Sol di tepidi pianti il petto asperso
S’attristi di Titon l’egra vecchiezza:
La bella Diva, avvezza
Andar col Sole a volo,
Fa l’eterno viaggio:
35Titon, che riman solo,
Il si reca ad oltraggio.
Quinci mal fortunato or s’empie d’ira,
Quasi in amando egli s’affligga a torto;
Ora sul disparir del suo conforto,
40Dal profondo dell’alma alto sospira:
Ma pur mai sempre mira,
Quanto il guardo è possente,
Lei, che sen va veloce;
Alla per fin dolente
45Piangendo alza la voce:
Questa rugosa guancia impallidita,
Ben me n’accorgo, e questo crin di neve
Fammiti così pronta, e così lieve,
Amatissima Aurora, alla partita:
50Ah sciocchezza infinita
Di qualunque sia core,