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che la corte di Modena gli paresse troppo angusto campo a’ suoi meriti, e che per ciò aspirasse a più luminoso soggiorno, vagheggiando or Roma, or la corte di Savoja.

Dopo il 1629 divenuto duca di Modena Francesco I d’Este, ebbe il nostro poeta moltissimi onori in corte e ragguardevoli ufficj presso varj potentati. Quando il duca andò a Madrid nel 1638 per levare al fonte battesimale un figliuolo di Filippo IV, condusse con sè il Testi, il quale ebbe da quel Monarca una lucrosa commenda, e fu ascritto all’ordine di san Jago. Nel 1640, ottenne il governo della Garfagnana, governo, dice il Corniani, onorato un secolo prima dal grande Ariosto; ma non seppe al pari di lui acquistarsi l’amore di quegli Alpigiani. Due anni dopo ritornò alla corte, dove la sua ambizione lo traeva, e vi riebbe tutti gli onori di prima. Ma sul principio del 1646 fu improvvisamente arrestato, e il giorno 28 agosto del medesimo anno morì in prigione, di morte, secondo alcuni, violenta, secondo altri, naturale. Si dice ch’ei fosse creduto reo di delitto di Stato; ma il Tiraboschi opina che non avesse altra colpa tranne quella d’aver cercato di entrare al servigio della corte di Francia, senza nemmanco avvisarne il suo duca. Forse gli nocque altresì lo sdegno di qualche potente, irritato da lui colla sua famosa canzone: Ruscelletto orgoglioso: al certo poi egli nocque a sè stesso colla sua troppa ambizione.

Tali furono le vicende a cui soggiacque questo illustre poeta, la cui vita fu davvero, come il Tiraboschi dice, un continuo alternare di prospera ed avversa fortuna. Certamente chi nulla sapesse del Testi, non potrebbe immaginarsi, al leggere i suoi versi, ch’egli sia passato fra tanti casi; ma che abbia avuto molti argomenti di sdegnarsi contro la poca fede de’ grandi, contro il mutabile favore delle corti e la inerzia e la servilità de’ suoi contemporanei, potrebbe di leggieri congetturarlo dal tuono stesso delle sue poesie. In esse voi non trovate quella pacata gravità, che rende più autorevole la saggia sentenza, passata, a così dire, dalla mente del filosofo, all’immaginazione del poeta, ma invece incontrate sovente la risentita declamazione e cert’impeto di bile, che non par sempre prodotto da un forte senso del bene comune, bensì da un moto di privato dispetto. In somma nei versi del Testi non si vede già, come in quelli del Chiabrera, il puro amatore della patria e del retto, che anela tempi ed ordini migliori, e cerca di fare illusione a sè stesso nella spe-