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del chiabrera 105

Pregio immortal, che di ferrato usbergo
     Robusto petto in gioventù si vesta,
     15E perchè volga l’inimico il tergo,
     Non rammentar che sia piaga funesta.
Se spento ei cade, in sulle piaghe altere
     La turba avversa del valor s’ammira,
     Indi amorosa man spoglie guerriere
     20Pon sulla tomba, e di dolor sospira.
Ma se abbattute aste nemiche, e spade,
     Rivolge a’ suoi vittorïoso il petto,
     Quanto per lui sulle natíe contrade
     Corre dentro ogni cor gaudio e diletto?
25In chiaro fuoco ogni donzella accesa,
     Dal Ciel consorte a sue bellezze il priega;
     Ma il popol poi, che n’ha la gloria intesa,
     L’eccelse prove al peregrin dispiega:
Che forte ei vinse; e che di sdegno egli arse
     30Le trombe udendo, e fulminò sui vinti,
     Che sordo a’ prieghi, inesorabil sparse
     Di sangue il campo, e calpestò gli estinti.

XLIII

AL SIG. JACOPO CICOGNINI

Sospira la quiete fuor della Corte Romana.

Lasciai le rive del bellissim’Arno,
     Rive da me fuor di misura amate,
     Bramoso di veder l’onde sacrate
     Dell’almo Tebro, ed or le veggio indarno;
5Non perchè Roma dentro se non chiuda
     Ingegni illustri, ed in virtù supremi;
     O perchè nieghi avaramente i premi
     A chi per via d’onor travaglia e suda:
Perciò non già; fora parlare invano,
     10Negar del Vatican gl’incliti pregi,
     Se lo cosparge d’ornamenti egregi
     L’alta bontà del sacrosanto Urbano.
Tutto ciò, che d’ulivo, e che d’alloro
     Fa che fronte gentil quaggiù s’adorni,
     15Chiaro vi splende, e se ne vanno i giorni
     In guisa tal, che hanno a chiamarsi d’oro.
Io fui de’ lusinghier sempre nemico:
     Non sorga, o Cicognin, chi mi condanni,
     Fra’ sette colli d’ôr si volgon gli anni;
     20D’ôr, ma d’oro contrario all’oro antico.
Allor d’oltraggi la stagion sicura
     Di riposo accendea tutti i desiri,
     Ne v’ebbe folle cor, che con martíri
     Amasse di comprar lieta ventura
25Oggidì che diremo? Alma contenta
     Rimirarsi non sa d’ozio gentile;
     Anzi il valore e la virtute è vile,
     Se con lungo sudor non ci tormenta.
Con pensieri inquïeti a sè nemici,
     30Ciascun di ceppi qui diviene amante,
     Che l’alme in val del Tebro han per costante
     Farsi con lucid’ostro i guai felici.
O rive d’Arno, o Fiesolane piagge,
     Ove un Sole Oriente oggi risplende1;
     35Deh chi di me pietoso a voi mi rende,
     Ed a questi tumulti, ahi! mi sottragge?
Io solitario, e fin dagli anni acerbi
     Uso alle selve, odio palagi alteri,
     Nè soffro onda di Duci in su’ destrieri,
     40E grandi in toga gareggiar superbi.
Però bramo oggimai giunto all’Occaso
     Pur boschi, ma d’allôr cinto le chiome,
     Ed ivi alzar di Ferdinando il nome,
     Destinato Signor del mio Parnaso.

XLIV

AL MEDESIMO

Che essendo breve la vita, dee l’Uomo pensare alle cose del Cielo.

Seguitando il tenor de’ pensier miei
     Su vago praticel, giunsi ad un rio,
     Che tra l’erbe, e tra’ fior col mormorio
     Par che volesse dir: Perchè non bei?
5Immantenente io posi freno al passo
     Per vagheggiar quelle volubil perle;
     E tanto dimorai fisso in vederle,
     Che a me veder quasi vedeasi un sasso:
Quand’ecco, Cicognino, e non so donde,
     10Mi si fece sentir sì fatta voce:
     Che badi? Il viver tuo sen va veloce,
     Più che il corso non fa di cotest’onde.
Io tosto, che ascoltai l’alte parole,
     Di mia felicità ben desïose,
     15Mi scossi, e mossi il core a pensar cose,
     Che della plebe il cor pensar non suole.


CANZONETTE


I

ALLA SIGNORA GERONIMA CORTE.

Invitala a venire a Savona.

Corte, senti il nocchiero,
     Che a far cammin n’appella:
     Mira la navicella,
     Che par chieda sentiero:
     5Un aleggiar leggiero
     Di remi, in mare usati
     A far spume d’argento,
     N’adduce in un momento
     A’ porti desïati.
10E se’l mar non tien fede,
     Ma subito s’adira,
     Ed io meco ho la lira,
     Che Euterpe alma mi diede:
     Con essa mosse il piede
     15Sull’Acheronte oscuro
     Già riverito Orfeo;
     E per entroa l’Egeo
     Arïon fu sicuro.

  1. Allude a Ferdinando II, che regnava in età minore sotto la tutela della madre e dell’avola.