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102 | poesie |
Franco nei petti altrui spira vigore,
Vegghia in gravi pensier, sprezza gli affanni,
15E te già vecchio in sul fiorir degli anni
Manda a spezzar degli indurati il core.
Esser certo non può, benchè Bellona
Ascoltar legge di concordia neghi;
Esser certo non può, che il cor non pieghi
20Alla tua voce, che nettarea suona.
Vergine di pietà sempre infinita
Angeli sacri, Alme beate e sante,
Porgete per noi prieghi al gran Tonante,
Sicchè adorando n’impetriate aita.
25E noi ritolti da cordogli immensi,
Diverrem chiaro specchio a’ pii Nepoti;
Canterem inni, appenderemo voti,
E faremo volar nembi d’incensi.
Ma non tanto letargo al secol nostro
30Occuperà nelle future genti,
Che il tuo nome ad ognor non si rammenti,
O via più chiaro di virtù, che d’ostro.
Dunque ara i campi dell’instabil Teti,
E con altrui giovar cresci tuo vanto:
35Qual Nestore canuto in val di Xanto,
Tu sarai giovinetto in riva al Beti.
Nè scuro Arturo, od Aquilon crudele,
O mar mugghiante ti conturbi il seno;
Che ogni torbido ciel torna sereno
40A nave, che per Dio spande le vele.
Muovi oggimai; nè di guerrier trofei,
Nè pur di palma trïonfal ti caglia;
Che alto alloro non fia, non fia battaglia
Possente a pareggiar tuoi Caducei.
XXXV
AL SIGNOR COSMO BARONCELLI
Quando D. Giovanni Medici fu condotto
da’ Veneziani.
La nobil destra, che sul fior degli anni
Crebbe in Germania al Vaticano allori,
E schernendo di morte i tetri orrori,
Colmò di ghiaccio gli Ottoman Tiranni,
5Tuonando in guerra, a me sì forte in petto
Sparse desío di celebrar suoi pregi,
Che in tesser di bei fior ghirlande, e fregi
Mi fu su Pindo il vigilar diletto.
Chi verso lampo di virtù, che altiero
10Illustra il Mondo, volentier non mira?
Ah che altrui merto riguardar con ira
È vile infamia di villan pensiero.
E pure in terra è folla notte, e suolsi
Lattare invidia; io ciò mirai sovente,
15E per modo il mirai, ch’egro e dolente
La cara cetra dalla man mi tolsi.
Or bella fama, che le lucid’onde
Lasciò dell’Adria, i miei desir consola,
E dilettoso canto indi diffonde,
20E con tromba di gaudio ella sen vola.
La grande, che nel mar siede reina,
Nel cui sen libertate aurea ripara,
Per lo cui senno sollevarsi impara
Italia, quasi al traboccar vicina,
25Lo sguardo volse, e tra’ più forti scelse
Il Signor nostro, ed onorò suo nome.
Cosmo d’edere liete orniam le chiome,
Secolo torna di letizie eccelse.
Io finchè pace a’ nostri giorni impetra
30L’ôr di Saturno in sull’Aonia riva,
Canterò, come Amor l’alme ravviva
Con dolci piaghe di mortal faretra.
Ma s’empia voce unqua risuona all’armi,
Armerò di gran corda arpa sonante,
35E quasi per deserto onda spumante,
Dal petto ardente se n’andran miei carmi.
L’asta, dal cui ferire alta vittoria
Intra fulgidi acciari unqua non parte,
Porterò fino al ciel, cigno di Marte,
40E con sue palme avanzerò mia gloria.
XXXVI
AL SIGNOR ALESSANDRO SERTINI
Che i desiderj alti sono pericolosi.
Quando con fuga a metter fine a’ mali,
Che sotto il fiero Re gravi sostenne,
Armato il tergo Dedalo di penne
Per l’alto ciel diessi a vogar con l’ali.
5Disse al figliuol, che di vaghezza acceso
Era a trattar l’aure celesti: figlio,
Impresa di spavento, e di periglio
Rifiuta spirto da viltate offeso.
Ma dell’umano ardir certa misura
10Bella ragione alle nostre alme assegna,
Di così favellarti oggi m’insegna
La presente per noi forte ventura.
Che se troppo t’abbassi al mar vicino,
L’aer laggiù mal sosterrà le piume,
15Se t’alzi, il Sol le struggerà col lume,
Se per mezzo ne vai, lieto è il cammino.
Sì fatto accorto il giovenil pensiero,
Come sicura scorta, il voto ei prende,
Nè lento le bell’ali Icaro stende,
20Lieto correndo il sì novel sentiero.
Per l’aria, che fendea l’ala paterna,
Tenne da prima il buon garzon la via,
Indi i sentier ben consigliati obblia,
Per vagheggiar la regïon superna.
25Brama i raggi appressare onde Orïone,
Onde Arturo nell’alto appar lucente,
Brama i raggi appressar d’Elice ardente,
Brama appressar l’Ariadnee corone.
Ma quando in ver l’Olimpo il corso ei volse
30L’incaute piume il Sole arse e disperse,
Sì se medesmo il troppo altier sommerse,
E l’antico suo nome al mare ei tolse.
Sertini, in questo specchio il guardo giri
Chi troppo studia d’innalzar sè stesso;
35L’aurea favola canta il buon Permesso,
Intento a raffrenar nostri desiri.