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100 poesie

XXVIII

AL SIG. CESARE MORANDO

Loda la Poesia.

Cetra, che Febo a dotta man gentile,
     Morando, fidi, è da chiamar tesoro:
     Taccia la plebe, che ignorante e vile
     Non mira altro tesor, che argento ed oro.
5Ecco, se morte ria d’amare pianto
     Tenero sen di Verginella asperge,
     Poeta sorge, e col soave canto
     La riconforta, e que’ begli occhi ei terge.
E s’egli avvien, che per lontani errori
     10Nojosi affanni il peregrin sostegna,
     Onde ha rimedio, che il suo mal ristori,
     Se Poeta quell’arte non gli insegna?
Reca talor di Cavaliero egregio
     Nemico stuol la cenere rinchiusa,
     15Ed ei fra’ vivi perderebbe il pregio,
     Se per lui non vegghiasse inclita Musa.
Inclita Musa ne distingue i modi,
     Onde di Lete rio l’onda si scherna;
     Ella ne detta varj vanti e lodi,
     20Onde umana virtù si renda eterna.
E pure ogni Cantor lungo il bell’Arno
     Sacra solo a Ciprigna i detti suoi,
     E par che lira oggi si tempri indarno,
     S’ella fa risonar palme d’Eroi.
25Scorno d’Italia! or non daransi i carmi
     Tanto dovuti all’immortal Farnese1,
     Che atro nel sangue, orribile nell’armi
     Gli Altar disgombra delle fiamme accese?
Io sulle corde di mia mano ancelle,
     30Che lungo Dirce di sonarle apprende,
     Porterò fino al ciel, fino alle stelle
     L’Asta real, che il Vatican difende.

XXIX

AL SIG. PIETRO STROZZI2

Gli uomini vivere in terra inquieti,
perchè la loro patria è in cielo.

Febo sett’Albe ha rimenato appena,
     Da che trassi con voi l’ore contento,
     Là ’ve correndo in cielo aura serena
     Del bell’Arno rinfresca il puro argento.
5Ivi scorgea virtute, ivi sapere,
     Candidissimi cor, petti cortesi;
     Ivi tanto scorgea, ch’era dovere
     Di por sempre in non cale altri paesi.
Pur lusinghiero della patria amore
     10Die si fatta battaglia al pensier mio,
     Strozzi, che da voi tormi ebbe valore,
     E m’ha condotto al mio nido natio.
Ma qui le piagge un tempo a me si care,
     Come vil cosa, il guardo oggi rimira,
     15Ne per me, come già, si lieto il mare,
     Ne si vago e giocondo il ciel si gira.
Quinci colmo di noja uu volar chieggio,
     Che mille volte il giorno a voi mi renda;
     Ma mentre del desir teco vaneggio,
     20Sembra che alto pensier me ne riprenda.
Così dicendo, onda di mar men lieve
     E sotto soffio d’Aquilone il verno,
     Che vaghezza mortal, se non riceve is
     Dalla bella ragion legge e governo.
25Lasso! che ora partita, ora ritorno
     Tuo core alterna, e non mai stabil erra:
     Ma se sovra le stelle è suo soggiorno,
     Che lieto albergo vai cercando in terra?

XXX

AL SIG. JACOPO POPOLESCHI

Che i Poeti devono celebrare la Virtù.

Poichè nel corso della fuga amara
     I fier nemici il buon Baracco estinse,
     E che Jahel magnanima s’accinse,
     E di vita privò l’empio Sisara;
5In bei sembianti, d’allegrezza aspersi,
     Debora sorse a celebrar quel giorno;
     E perchè chiaro si girasse intorno,
     Lume gli crebbe con eterei versi.
Disse gli assalti, e di quelle armi il suono,
     10E degli Ebrei Campion descrisse il vanto;
     Indi al supremo Dio rivolse il canto,
     Della cui destra ogni vittoria è dono.
Sì fatte note, o Popoleschi, ammira
     Il Mondo intento ad ammirabil Musa;
     15Però sian legge di tuo studio e scusa,
     Se il colle di Parnaso a sè ti tira.
Che se l’alma virtù negletta e nuda
     Non empie il guardo de’ mortali appieno,
     Come di pregio non fia degno almeno
     20Chi per ornarla s’affatica e suda?
Deh movi ardito, e liberal di fama,
     Tempra la cetra, ed a lei sposa i carmi;
     Gli armati loda, e va gridando all’armi
     Or che alto rischio a guerreggiar ne chiama.
25Mira, che gonfio il cor d’orgoglio e d’ire,
     Pur sul Danubio l’Ottoman s’affretta;
     Mira, che inerme i crudi assalti aspetta
     Germania o senza senno o senza ardire.
Di’ tu, che onesta morte a viver mena;
     30Che vero onor al Ciel s’apre la strada;
     Che è meglio in petto aver colpo di spada,
     Che giogo al collo, e che sul piè catena.

XXXI

AL SIG. AGOSTINO MASCARDI

Che il Peccatore non ha schermo,
salvo il pentimento.

Veggio spumante, ed assalir gli scogli
     Nereo, che freme, e per gli aerei campi
     Squarciare orride nubi ardor di lampi
     E fieri d’Austro rimugghiare orgogli.

  1. Allude ad Alessandro Farnese, capitano delle armi Cattoliche nei Paesi Bassi contro l’Olanda. Morì nel 1592.
  2. Letterato fiorentino. Fiori dal 1600 at 1640. Fu primo segretario de’ Brevi sotto Paolo V; dappoi fuggendo la malavoglienza de cortegiani, si ritirò in patria, e sostenne in Pisa la cattedra di Filosofia.