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del chiabrera 97



O dove tra le quete onde marine
     10La sposa di Nettun regna sicura;
     O dove l’Arno tra superbe mura
     Va d’ogni gloria coronato il crine.
Al fin dovunque, o Gualterotti, io giro
     Per gli Italici regni il guardo intento,
     15Opre, che immenso consumaro argento,
     Ed alta industria di Maestri io miro.
Qui saldo ponte a soggiogar de’ fiumi
     L’impeto ondoso stabili archi stende;
     Là sacro Tempio oltra le nubi ascende,
     20E fa vergogna al Sol con aurei lumi.
Superbi tetti a ricrear l’affanno,
     Ove stansi ad ogni ora i re sommersi;
     Orti, al cui segno i celebrati in versi,
     E favolosi Esperidi non vanno.
25Per poco indarno omai verno, ed estate
     Alternamente le stagion comparte,
     Tanto nel cielo obbedïenti all’arte
     Corrono l’aure fervide, e gelate.
Altera Italia di grand’ori e d’ostri,
     30E d’alti alberghi ha tutti sparsi i lidi;
     Ma gli antichi Tesei, gli antichi Alcidi
     Non ha l’altera Italia a’ giorni nostri.
     Se il fier Procuste, o s’apparisse il forte
     Per tante vite Gerïone in guerra;
     35Se il figlio infaticabil della Terra,
     Qual sorgerebbe destra alla lor morte?

XXI

AL SIG. COSMO RIDOLFI

Non doversi piangere chi muore onoratamente.

Cosmo, se giunge peregrino errante
     Presso la tomba, ove Alessandro or posa,
     Musa dispersa il crin, fosca il sembiante,
     Così di lui gli narrerà dogliosa:
5O Peregrin, che alto valore egregio,
     E nobil’ vite hai di cercar costume,
     Chiudesi qui de’ Cavalcanti il pregio,
     E di Toscana, e di Firenze un lume.
Di non frali tesor fornito appieno,
     10Chiaro di sangue, sovruman d’aspetto,
     Giovine d’anni, gli si accese in seno
     Di sempiterna gloria alto diletto.
Nè pria sull’Istro ad immortali imprese,
     Chiamava alteri cor tromba guerriera,
     15Che là rapidamente il corso ei prese,
     Qual veltro intento a fuggitiva fera.
Quivi che non oprò? Che non sofferse,
     D’onor bramoso, entro le schiere armate?
     Ah che tanto egli oprò, tanto sofferse,
     20Che cadde al fin sulla più fresca etate.
Nè pianse abbandonar sul fior degli anni
     Parenti, amici, e la paterna riva;
     Ma pianse non durar più lunghi affanni,
     Per più lasciarne sua memoria viva.
25Senti, che bella Stella in folto orrore
     Chiuse colpo di morte acerbo ed empio:
     Va Peregrino, e fa, che fermi il core
     Di cotanta virtù nel chiaro esempio.
Cosmo, in tal guisa canterà Permesso
     30Lui, che morendo a sospirar l’invita;
     Ned ei per morte chiamerassi oppresso,
     Chè altri non muor, se da Virtude ha vita.

XXII

A MONSIGNOR FILIPPO SALVIATI

Biasima i costumi del volgo.

Ecco trascorre, e per le vie del cielo
     Austro s’addensa delle febbri amico,
     O frena i fiumi, o sul terreno aprico
     Freddo Aquilon corre indurando il gelo.
5Noi per ischerzo a buon falerni, a danze
     Abbiam ricorso, o ne i teatri folti
     Cerchiamo il riso, o trasformando i volti,
     Furiamo agli occhi altrui nostre sembianze.
Giuoco volgar; ma se da eccelsa parte
     10Umano sguardo vagheggiasse il mondo,
     Mentre il popolo qui scherza giocondo,
     Quante rimireria lagrime sparte
Per altri regni? O che feroce in guerra
     Gonfia Megera formidabil trombe,
     15O che funerea peste empie le tombe,
     O che annunzia digiun la steril terra.
Perchè letizia fra’ mortali alterna
     Talor col duolo, ove apparir la vede,
     Spinge il vulgo vêr lei rapido il piede,
     20E forsennato osa sperarla eterna.
Allora ei colma d’allegrezza l’alma,
     Nè rivolge a sventure unqua il pensiero;
     Ma si ritrova al fin come nocchiero,
     Che a se promette non mutabil calma.
25Serbar misura, ed abborrir gli estremi
     Non sa la plebe; ella trapassa il segno:
     Il sai ben tu, che col sublime ingegno,
     Nobil Salviati, ora confidi, or temi.

XXIII

AL SIG. GIAMBATTISTA VECCHIETTI

Che in Amore sono tormenti.

O del gran Febo in su Castalia caro,
     Vecchietti, e per tant’anni a me diletto,
     Deh come avvien, che non ne scenda in petto
     Dolce d’Amor, che non riesca amare?
5Il suo favor di mille affanni è reo,
     Lo sdegno danna a lagrimare eterno;
     E se il mio canto oggi si prende a scherno,
     Almen sia degno di credenza Orfeo.
Famoso amante: ei dell’amata sposa
     10Vedovo fu, quando vie più gioiva;
     E per lei sceso alla Tartarea riva,
     L’infernale empietà fece pietosa.
Già l’ombre oscure abbandonava, e lieto
     Già di Febo godeva i rai celesti,
     15Quando, perverso amor, tanto il vincesti,
     Che egli pose in obblio l’aspro decreto.
E quinci all’infelice i bei sembianti,
     Per più non rivederli, ecco rapiti:
     Sommo tormento; onde deserti liti,
     20Ond’ermi gioghi egli inondò co’ pianti.