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94 poesie

25Lassi! che non sì tosto Atropo al fuso
     Lo stame troncherà di miseri anni,
     Che spezzeransi l’arche, ove rinchiuso
     Serbaro il frutto di cotanti affanni.
Allor si pescheranno ostri Fenici,
     30E ricche perle in sull’Egizia riva:
     Verranno odor dalle Sabèe pendici,
     E fian tributo di beltà lasciva.
Con larga mano inviteransi i canti,
     Perchè più ferva la lussuria lieta,
     35E bagneran le mense i vin spumanti,
     Cui distillaro i pampini di Creta.

XI

AL SIGNOR LORENZO FABBRI

Vano essere il desiderio della Gloria.

Perchè nell’ora, che miei dì chiudesse
     Orrida morte sotto un sasso oscuro,
     Nella memoria altrui chiaro vivesse
     Mio nome fatto dal morir sicuro,
5Fabbri, sul monte d’Elicona intento
     Cercai de’ Greci peregrini l’orme,
     E sudando vegghiai, lungo tormento,
     Allor che il vulgo più s’adagia e dorme.
Non così forte vedovella teme
     10Sopra la morte del figliuol, siccome
     Io freddo paventai per l’ore estreme
     Meco di me non s’estinguesse il nome.
Febbre mortal, che ove ad altrui s’apprende,
     Avvisa l’Uom, che ricrear sen deggia;
     15Ma con tal forza poscia arde e s’accende,
     Che forsennato il misero vaneggia.
E chi s’avventa coraggioso e forte
     Là ’ve senta sonar tromba di Marte,
     E corre lieto a volontaria morte,
     20Per acquistar novella vita in carte.
Altri disperde indarno ampio tesoro,
     Traendo marmi da paesi ignoti,
     E fa d’egregi tetti alto lavoro,
     Perchè sua bella fama empia i Nipoti.
25Ma risponda costui: Dove d’Atene
     Gli alberghi son, già di grand’ôr lucenti?
     O mi nieghi s’ei può, che di Micene
     Non siano abitator gregge ed armenti.
Invan speme mortal sorge superba;
     30Forza di tempo ogni valor consuma;
     Appunto è l’Uom, come nel prato l’erba,
     E gli onor suoi, come nel mar la spuma.
Muse, che al vario suon d’alta armonia,
     Faceste vostri gli anni miei primieri,
     35Averele gli estremi anco in balia,
     Non già ch’io brami, o d’eternarmi io speri:
Ma del soave mele, onde Elicona
     Largo trabocca, m’addolcite il petto.
     Per voi sotto velami il ver risuona,
     40E così chiuso io volentier l’accetto.
Ecco per voi l’esercitato Alcide
     Veggio sudar nella fatica eterna;
     Or segna Calpe, or Gerïone ancide,
     Or fa tremar con le saette Lerna.
45Dall’altro lato Prometeo s’ingegna
     Parte rapir della celeste luce,
     Ed ubbidire al suo Signor disdegna,
     Ma sulla terra i vivi fuochi adduce
L’uno in ciel fra le stelle almo risplende,
     50E l’altro in Scizia ebbe tormenti immensi:
     Di qui soavemente altri comprende
     Ciò che seguir, ciò che fuggir conviensi.

XII

AL SIG. BARTOLOMMEO PAGGI

Il sollecito Studio ristorare la brevità della vita.

Qual fiume altier, che dall’acree vene
     In ima valle torbido ruini,
     Quando al soffiar dell’africane arene
     Struggesi il ghiaccio per li gioghi alpini:
5Tale il Tempo veloce impetuoso
     Del ciel trascorre per le vie distorte,
     Il Tempo inesorabile bramoso
     Gli Uomini trar ne’ lacci della Morte.
Umida nube, che levata appena
     10Sul dosso d’Appennin Borea distrugge,
     Fiamma, che in atro nuvolo balena,
     Sembra la vita, sì da noi sen fugge.
Or da qual arte in terra avrem soccorso,
     Sicchè di Morte ristoriamo i danni?
     15Chi malgrado del tempo e di suo corso,
     In pochi giorni camperà molti anni?
Quei che nel campo d’oziosi amori,
     Paggi, non degnerà d’imprimer orma;
     Ma sosterrà dentro i notturni orrori,
     20Che vegghi il guardo, perchè il cor non dorma.
Cotal per le Tessaliche foreste
     Là ’ve seco l’avea d’etate acerbo
     Ammoniva Chiron, fera celeste,
     L’aspro cor dell’Eacide superbo.

XIII

AL SIG. TOMMASO STRINATI

Colui viver tranquillamente, il quale non si
travaglia dell’avvenire.

Già fa sul carro dell’eterno ardore
     Inverso noi l’eterno Sol ritorno,
     E per sua face rallungando l’ore,
     Fora ragion, che sfavillasse il giorno.
5Lasso, e pur tuttavia fuor l’antico uso,
     Cela il vago seren dell’aurea faccia,
     E dentro orride nubi il Sol rinchiuso
     Fieri oltraggi di verno altrui minaccia.
Tolgono omai da’ cari balli il piede
     10Meste le Ninfe, di fioretti amiche,
     E cosparsa di duol Cerere vede
     Guasto l’onor delle bramate spiche.
Quinci tragge sospir, quinci querele,
     Cinto di figli, il villanel dal petto;
     15Ma d’altra parte l’usurier crudele
     Di quel misero duol tragge diletto.
Tu sotto logge, e tra begli orti intanto
     Schiera d’amici, o buon Strinati, attendi,
     E rivolto ad udir nobile canto,
     20Dell’avversa stagion cura non prendi.