Furono molti già, cresciuti di vostra progenie,
simili tutti, d’aspetto, d’ingegno, ai Signori del cielo.
Giove, che tutto sa, Ganimede rapí, chioma bionda,
preso di sua bellezza, perché fra i Celesti vivesse,
e nella casa di Giove il nèttare ai Numi mescesse:
miracolo a vedere, da tutti i Celesti onorato,
quando il purpureo vino mesceva dall'ànfora d’oro.
Ma invase il cuor di Tròo funesto dolor; né sapeva
dove gli avesse il figlio rapito divina procella;
e tuttodí lo andava con gemiti lunghi invocando.
E pietà n’ebbe Giove, gli diede, in compenso del figlio,
gli alivoli corsieri che portano in groppa i Celesti.
Questo presente gli fece. E poi, per comando di Giove,
tutto gli raccontò l'Argicída che l’anime guida:
ch'era per sempre immune suo figlio da morte o vecchiezza.
E poi ch’egli ebbe udito di Giove il messaggio, lamenti
più non mandò, ché anzi di gioia ebbe l’anima colma;
e lieto si lanciò sui corsieri dal piè di procella.
Del pari, allor che Aurora, dall'aureo trono, Titóne
rapí, ch'era mortale di stirpe, ma simile ai Numi,
prece rivolse al Croníde, signore dei nuvoli foschi,
che lo rendesse immune da morte, e di vita perenne.
E Giove acconsentí, volle ch'esito avesse la prece.
Poi, quando giú dal capo suo fulgido, giú dalle gote
floride, i primi a lui s’effusero crini canuti,
lungi dal suo giaciglio rimase la Dea veneranda,
e in casa ognor lo tenne, porgendogli cibo ed ambrosia,
quale manducano i Numi, gli diede bellissime vesti.
Ma quando poi lo colse l’estrema vecchiezza odïosa,
né muover piú potea, né pure agitare le membra,