Ed offri, dopo ch’abbia ciò fatto, un banchetto di nozze
che agli uomini riesca diletto, ed ai Numi immortali».
Ardore infuse in lui la Diva con queste parole.
Anchise vinto fu d’amore, e cosí le rispose:
«Se dunque sei mortale, se donna fu dunque tua madre,
ed è, come tu dici, tuo padre il chiarissimo Otrèo,
e per volere d’Ermète che l’anime guida qui giungi,
per sempre tu chiamata sarai mia legittima sposa.
Nessuno or degli Dei, né degli uomini nati a morire,
frenar qui mi potrà, che d’amore con te non mi stringa,
súbito adesso: neppure se Apollo che lungi saetta
dall’arco suo d’argento scagliasse le frecce dogliose:
bene io consentirei, dopo asceso il tuo talamo, o donna,
che sei pari alle Dee, sprofondare alla casa d’Averno».
Disse, per mano la prese. L’amica del riso Afrodite
mosse, volgendo indietro la testa, avvallando lo sguardo,
verso il giaciglio bene composto, che già pel signore
era apprestato, con morbidi manti; e vi stavano sopra
distese pelli d’orsi, di cuporuggenti leoni,
che uccisi avea lo stesso signor sulle cime dei monti.
Ora, poiché sul letto bellissimo furono ascesi,
pria dalle membra tutti le tolse i fulgenti monili,
e búccole, e collane, e fibbie, e volubili armille:
la zona poi le tolse, le fulgide vesti le sciolse
Anchise, e l’adagiò sopra il trono dai chiodi d’argento.
E qui, come la Sorte voleva e la Forza dei Numi,
giacque il mortale ignaro vicino alla Diva immortale.
Nell’ora che i pastori conducon di nuovo all’ovile
dai pascoli fioriti le pecore pingui e i giovenchi,