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INNI OMERICI 5

fu quella d’avere estirpata dal cuore degli uomini la piú divina poesia che fiorisse mai su la terra.

L’Iliade e l’Odissea, dissero i filologi, non sono opere d’un sommo genio, bensì conglomerati poco piú che casuali, di canti diversi d’età, d’autore, di tendenze. — Ma allora, il buon senso dei non filologi concludeva che poemi composti in simil guisa non potevano essere capolavori, anche se tutti i filologi del mondo seguitassero a protestare un’ammirazione tanto sospetta quanto poco autorevole.

E poi, non tutti protestavano. Uno di loro, il piú famoso di tutti, uomo tanto ricco di dottrina quanto povero di senso estetico e di sana logica, Ulrico di Wilamowitz, il cui solo nome fa tremare le vene e i polsi a tutti i filologi del mondo, sentenziò che i poemi omerici erano composizioni sganasciate, e che valevano meno di certa poesia di Corinna ultimamente rinvenuta, e che, davvero, farebbe sbadigliare i sassi1.

E allora, concludeva il buon senso, se i poemi d’Omero


  1. Da haben wir ein Gegenstück zu dem jonischen Epos, besser zu seiner gesungenen Vorstufe. Das Epos, schon rezitativ, als er herüberkam, hat diese Poesie zurückgedrängt, so dass sie bei den Frauen Zuflucht fand, deren Erzeugnisse uns sehr viel besser behagen als die ausgeleierten Rhapsoden Werke, die unter die Namen Homer und Hesiod treten. «Berliner Klassikertexte», pag. 55. Un ammiratore italiano obiettò che il Wilamowitz intendesse parlare dei poemi ciclici. Ma nessuno ignora che questi poemi sono andati perduti sino alle briciole. E per quanto io non ammiri eccessivamente la logica del Wilamowitz, non lo suppongo capace d’istituire un confronto, per ricavarne un giudizio estetico, fra una poesia di Corinna e dei titoli di poemi perduti.