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72 INNI OMERICI 277-306

e piú d’un uom farai che segga sul nudo impiantito,
senza rumore spogliando la casa: mi basta sentirti.
E molti spoglierai di greggi campestri custodi,
per le vallate selvose, qualora, di carni bramoso,
branchi di pecore incontri villose ed armenti di bovi.
Ma se non vuoi che per te debba questo esser l’ultimo giorno,
giú dalla culla, o amico del buio notturno, discendi,
perché tal privilegio fra i Numi ora e sempre tu avrai:
detto sarai, finché durino i secoli, amico dei ladri».
     Disse, ed il bimbo prese, con sé lo recò Febo Apollo.
E allora, concentrò gli spiriti il forte Argicída;
e, mentre fra le braccia il Dio lo stringea, come augurio
un crèpito lanciò, del ventre squillante messaggio.
Súbito poi sternutí, per coprirlo. Ma bene distinse
Apollo, e a terra Ermète sfuggire lasciò dalle mani,
e gli sedette innanzi, ché pungerlo volle, sebbene
avesse tanta fretta, cosí la parola gli volse:
«Caro il mio bambolo in fasce, figliuolo di Maia e di Giove,
animo! Io troverò l’eccelse cervici dei bovi,
se pure questi augúri non mentono; e tu sarai guida!»
     Disse. E il Cillenio Ermète di nuovo in pie’ rapido surse.
Ma camminava a stento. Le mani distese, le fasce
che gli coprian le spalle, tirò sugli orecchi, e sí disse:
«Dove mi porti, o Arciero, o Dio furïoso fra tutti?
Forse pei bovi, rizzi cosí la criniera ed infuri?
Povero me, si sperdesse la razza dei bovi! Ché io
non ho rubate, quali che sieno, le vostre giovenche,
né l’ho vedute rubare. Solo ora ne sento parlare.
Citami pure a Giove figliuolo di Crono: ci vengo».
     Ora, poi ch’ebbero, punto per punto, discusso in contrasto,