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66 | INNI OMERICI | 105-130 |
Lacuna.
Certo si descriveva come Ermete ottenne il
fuoco sfregando insieme due pezzi di legno.
. . . . . . . . . . . ardente spirava la fiamma.
D’aride legna belle perfette perenni un gran mucchio
poi fece, entro una fossa profonda, nel suolo; e la fiamma
brillò, che lunge il fiato recava e la vampa del fuoco.
E mentre ardeva il fuoco la furia dell’inclito Efèsto,
dalla spelonca fuori due lente muggenti giovenche
presso alla fiamma trasse, tanto era il vigor di sue membra,
le stese al suol, che forte soffiavano entrambe, supine,
poi si chinò, le girò, le ferí su la spina dorsale.
Ed opra ad opra aggiunse, la carne tagliando e l’omento.
E poi, sopra schidioni di legno le infisse, e le cosse,
le carni insieme, e i pingui filetti, e il purpureo sangue
entro le viscere chiuso: dei brani rimasero a terra.
In cima stese poi le pelli a una roccia scoscesa,
come anche adesso, ch’è tanto tempo trascorso, le pelli
di vecchi bovi in luoghi si tendono eccelsi. E, ciò fatto,
l’ilare Ermète recò tutto quanto il suo pingue bottino
sopra una liscia pianura, ne fece, per poi trarle a sorte,
dodici parti; e aveva ciascuna il suo pezzo perfetto.
Qui delle carni offerte nel rito lo punse desio,
ché lo attirava l’olezzo soave, sebben fosse Nume.
Però, l’animo forte, per grande che fosse la brama,
lo dissuase che carne cibasse la fauce immortale.
Bensí le molte carni, l’omento, nell’alta spelonca
portò, súbito poi ne fece alto un mucchio, trofeo
della novella preda, lo cinse con aride legna,