con cautela i pie’ di quei lievi calzari si strinse,
con le lor frondi ancora (li aveva l’illustre Argifonte
dalla Pïèrïa svèlte), sinché scomparisse ogni traccia.
Ecco, lo vide un vecchio che stava curando una vigna,
mentre egli al pian d’Onchèsto movea per l’erbosa pianura.
A lui primo si volse di Maia il famoso figliuolo:
«Vecchio, che curve hai le spalle, che sarchi codeste barbate,
bella vendemmia farai, se pure attecchiscono tutte!
Vedere devi senza vedere, e, se ascolti, esser sordo
e stare zitto, quando tu nulla del tuo ci rimetti».
E, cosí detto, i buoi dal valido collo sospinse.
Per molti ombrosi monti, per molti sonori valloni
mosse l’illustre Ermète, per molte fiorenti pianure.
E già la Notte ombrosa, la Dea che l’aveva protetto,
era al suo fine presso, spuntava già l’alba operosa,
ed alla sua vedetta saliva la Diva Selene,
quando il figliuolo prode di Giove, sui rivi d’Alfèo
i buoi spinse dall’ampia cervice d’Apolline Febo.
Né stanchi erano, quando pervennero all’alto presepe,
ed alle greppie poste dinanzi, sul florido prato.
E quivi, poi che d’erba pasce’ le muggenti giovenche,
tutte le spinse nell’antro, ché strette restassero al chiuso,
a ruminare loto con cípero molle di guazza.
Poi, molte legna raccolte, provvide ad accendere il fuoco.
Prima col ferro tolse la scorza a un bel ramo d’alloro
ché si potesse impugnare....