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54 INNI OMERICI


secondo il costume antico, come augurio. E buon augurio. Gli antichi credevano infatti che le carni degli animali che strisciano sulla terra fossero buone a far suffumigi che allontanassero gli effetti della magia.

La costruzione dello strumento è descritta con molti e precisi particolari. Ermete pratica dei fori attorno attorno all’orlo del guscio, v’inserisce trasversalmente delle cannucce tagliate a misura, che vengano a formare come un graticcio, e sopra il graticcio tende una pelle di bue, in maniera da costituire una vera cassa armonica. Il resto della descrizione è chiaro alla semplice lettura.

Una descrizione simile si trova anche ne «I contravveleni», poema didascalico di Nicandro, vissuto a Colofone circa un secolo e mezzo prima di Cristo. Ma è assai meno evidente (560).

     E favellante, sebbene da prima era muta, la rese
     Ermète, il Nume: ché dalla carne fe’ libero il guscio
     versicolore; e sopra il dorso piantò le due braccia.

Il furto dei Buoi. È il primo viaggio d’Ermete. E non è breve. Dal monte Cillene, a N.E. dell’Arcadia, arriva, in una sola tappa, alla Pieria, che si trova all’estremità N. E. della Grecia, in Macedonia, a Sud del fiume Haliacmon, e sotto il monte Olimpo, nel Sinus Thermaicus (Golfo di Salonicco).

Il monte Olimpo era la sede dei Numi, e quindi, com’è naturale, vi pascevano le mandrie celesti. Ermete ne ruba cinquanta capi, le conduce un po’ lungo la spiaggia del mare, poi s’addentra nel continente, e, d’improvviso, lo troviamo in Onchesto, nel cuore della Beozia, poco al disotto della palude Copàide; e qui c’è un breve episodio con un vecchio bifolco.