Pagina:Omero minore.djvu/50

281-310 AD APOLLO PIZIO 47

da Creta, donde noi vantiamo l’origine, a Pilo.
Qui, contro nostra voglia, giungemmo or col nostro naviglio,
per altre vie, per altri sentieri, bramando il ritorno,
ché contro nostra voglia ci spinse qualcuno dei Numi».
     E a lui cosí rispose il Nume che lungi saetta:
«O stranieri, voi che in Cnosso avevate soggiorno
d’alberi fitta, in patria piú mai non farete ritorno:
nessuno alla città diletta, alla fulgida casa,
alla sua cara sposa: ma qui, nel mio tempio opulento,
starete, a molte genti sarete segnacol d’onore.
Però ch’io sono Apollo, vi dico, figliuolo di Giove;
e voi condussi qui fra i bàratri immani del mare,
non già per farvi male; ma qui nel mio tempio, che onore
avrà da tutte quante le genti mortali, starete,
degli Immortali i disegni saprete, per loro volere
sempre sarete onorati via via, sinché passino i giorni.
Su via, quello che adesso vi dico, compiete al piú presto.
Prima di tutto, sciogliete le funi, calate le vele,
a terra poscia il negro naviglio tirate, prendete
quante ricchezze, quanti attrezzi nei fianchi esso chiude,
ed un altare alzate sovressa la spiaggia del mare.
E acceso il fuoco, ed arsa sul fuoco la bianca farina,
stando all’altare tutti d’attorno, levate le preci.
E d’un delfino assunsi da prima l’aspetto, quand’io
sopra la vostra nave balzai nell’aereo ponto,
perché voi mi doveste chiamare Delfinio; e Delfinio
detto sarà l’altare, visibile a tutti da lungi.
Il cibo poi si prenda sul negro veloce naviglio,
libagioni a tutti si facciano i Numi d’Olimpo.
Quindi, sedata la brama del pane piú dolce del miele,