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30 INNI OMERICI

selvaggio dove poi fu Tebe. E da Tebe, risalendo a N.O., ad Onchesto, famosa, già ai tempi d’Omero, per un santuario di Posìdone.

Onchesto è il primo luogo su cui il poeta si sofferma un po’ a lungo, per descrivere un rito che vi si celebrava nel sacro bosco di Posìdone. Esperti aurighi salivano sui carri, a qualche distanza dal bosco, davan le mosse, e poi balzavano giú, e lasciavano liberi i cavalli. Se cosí, senza guida, riuscivano ad infilare il bosco sacro, se ne traeva fausto presagio1.

Da Onchesto, il Dio si reca a Telfúsa, una fonte calda della Beozia (da non confondere con la Telfúsa d’Arcadia); e questo luogo gli piace; e vi gitta le fondamenta del suo tempio. Ma la Ninfa del luogo, Telfúsa, per evitar le noie della troppa frequenza, lo dissuade, e lo consiglia a edificarlo invece sotto il monte Parnaso, a Crisa.

E Apollo si lascia convincere. E, toccata appena la città dei Flegi2, che il poeta chiama selvaggi (infatti rimasero

  1. Seguono quattro versi che dicono: Di qui, poi, del Cefiso giungesti alle belle fluenti — che da Lilaia via l’acque pure sospinge; e piú oltre — movendo, o Dio che lunge saetti, e passando Ecalía, — all’Aliarto di lí giungesti, dai pascoli erbosi. — Ora, il Cefiso è nella Focide, e sgorga sotto il monte Parnaso presso alla città di Lilea, per sboccare nella palude Copaide. Anche piú a Sud, è l’Aliarte. Basta gittare gli occhi su una carta geografica, per vedere l’incongruità di simili giri. Mi pare fuori di dubbio che sia interpolato il luogo, dal quale riesce spezzata la progressione istituita dal poeta, dai luoghi appena accennati, a Onchesto su cui un po’ si sofferma, a Telfusa, dove svolge un episodio, e, finalmente, a Crisa, che assorbe il piú della narrazione.
  2. Panope. Che non è proprio sul lago Copaide (la palude Cefisia), come dice il poeta; ma probabilmente la città cambiò nome.