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28 | INNI OMERICI |
poi quale fra le molte avventure d’Apollo debba scegliere come argomento del suo canto. E fa una prima limitazione della scelta a due soggetti: gli amori di Apollo, e il suo lungo errare in cerca d’una terra da fondarci il suo santuario.
Si attiene al secondo. Al primo accenna in fretta, in un brano irto di difficoltà esegetiche e mitologiche, e, probabilmente, corrotto, se non addirittura interpolato (30-35).
Chiara è la menzione della vergine Atlantide e d’Ischi. L’Atlantide sarebbe Arsínoe, figlia di Leucippo (re d’Amicla, in Laconia), la cui stirpe risaliva ad Atlante. Amata da Apollo, concepí Asclepio (Esculapio); ma poi si lasciò sedurre da Ischi, figlio d’Elato; e il Dio, per punirla, la fece incenerire da sua sorella Artemide. Però non volle che perisse anche il pargoletto innocente, e lo trasse a salvamento, dal morto alvo materno. La scena è dipinta da Pindaro (Pitica III) con colori impareggiabili 1.
Ma poi che i parenti sul mucchio di legna deposero
la figlia, e d’intorno guizzava
la vampa rapace d’Efesto, ecco Apolline disse:
«Non mai patirò che il mio germe
soccomba pel misero destin della madre».
Parlò: d’un sol passo lí giunse: rapí dal morto alvo il fanciullo;
e il rogo dinanzi al Signore dischiuse le fiamme.
- ↑ In Pindaro, veramente, troviamo Corònide al posto d’Arsinoe, e al posto di Leucippo, il re di Orcòmeno, Flegia il domator di cavalli. Ma già nell’antichità le due leggende si confondevano e identificavano. Lo scoliaste di Pindaro dice (Pit. Ili, 14): Ἀσχληπιὸς Ἀπόλλωνος παὶς καὶ Ἀρσινόης. αὕτη δὲ ραρθένος οὖσα ὠνομάζετο Κορωνίς, Λευχίππου δὲ θυγάτηρ ἦν τοῦ Ἀμύκλα τοῦ Λακεδαίμονος.