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AD APOLLO DELIO |
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ch’egli costruirà qui prima il suo fulgido tempio,
che sia qui per le genti l’oracolo primo, e per gli altri
uomini tutti, dopo: ché molti i suoi nomi saranno».
Cosí disse. E prestò Latona il suo giuro solenne:
«Sappiano questa Terra, e il Cielo che in alto risplende,
e la stillante linfa di Stige — terribile giuro
è questo, il piú solenne, pei Numi che vivon beati, —
che qui d’Apollo Febo l’altare fragrante ed il tempio
sempre saranno, e tu sarai sopra tutti onorata».
Ora, poi ch’ebbe cosí giurato, fermato il suo giuro,
Delo fu lieta molto del Dio che lontano saetta.
E nove giorni fu, nove notti, Latona trafitta
di doglie orride. E tutte quivi erano accorse le Dive,
quante piú illustri sono: Diòna, con Rea, con Icnàia,
con Tèmide e Anfitríte che d’alti clamori si gode,
e tutte quante le Dee, tranne Era dal candido braccio.
Ilizia sola nulla ne seppe, che i parti protegge,
perché d’Olimpo in vetta sedeva, sotto auree nubi,
per una trama d’Era dal candido braccio, che lungi
per gelosia la tenne, perché da Latona chiomata
nascere allora un figlio dovea virtuoso e gagliardo.
Ora, a chiamare Ilizia mandaron dall’isola bella
Iride l’altre Dee. Le promisero un grande monile
di nove braccia, d’àcini d’ambra legati nell’oro:
le disser che in disparte l’avesse a chiamar, ché la Diva
Era non debba coi suoi rimproveri indietro mandarla.
E come Iri dai pie’ di vento ebbe udito, correndo
mosse, e, veloce, tutto percorse lo spazio frapposto.
E poi che giunta fu dei Numi alla sede, all’Olimpo,