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190 | POESIE MINORI |
Sono fanciulla di bronzo che sto su la tomba di Mida.
Sinché l’acqua fluisca, fioriscano gli alberi grandi,
brillin, dal mare sorgendo, il sole e la fulgida luna,
sinché scorrano i fiumi, rimormori il mare alla spiaggia,
io, sopra questo sepolcro di lagrime molle restando,
a chi passa dirò che questa è la tomba di Mida.
Giunto a Cuma, incominciò, al solito, le sue recitazioni poetiche, ed ottenne i soliti successi entusiastici. Tanto, che, incoraggiato da alcuni dei suoi più fervidi ammiratori, chiese di essere nutrito a spese pubbliche. La città — diceva — ne avrebbe acquistata alta gloria.
Ma anche a quei tempi bisognava procedere per le vie legali, e ottenere un decreto del senato. E fu deciso che Melesígene si sarebbe recato ad una seduta, ed avrebbe perorata egli stesso la propria causa.
Cosí avvenne. E, dopo il discorso del gran cieco, quasi tutti propendevano per lui. Ma allora si alzò un sapientone, uno zelatore della regolarità e del summum ius, il quale, da che mondo è mondo, è anche la summa iniuria; e, senza far distinzione fra Omero e i guastamestieri, che certo anche a quei tempi non saranno stati pochi, osservò che, se la città si fosse messa a mantenere a spese pubbliche tutti quanti i ciechi, si sarebbe trovata sulle spalle una turba tanto numerosa quanto disutile. Neanche a dirlo, il parere del sapientone prevalse. E il povero poeta abbandonò Cuma più povero di come c’era venuto. L’unico guadagno fu d’essere chiamato Omero invece di Melesígene. Perché nella parlata di Cuma, cieco si diceva òmeros. E il sapientone aveva appunto usato questo nome per designare il poeta divino, e per fargli pesare addosso il suo