l’arme tremenda tu, funesta ai Titani, onde morte
desti a quegli esseri forti fra i forti, ed Encèlado in ceppi
stringesti, e le tribú con lui dei selvaggi giganti».
Cosí disse. E il Croníde scagliò la fumante saetta.
Tuonò dapprima; e un alto rimbombo fu tutto l’Olimpo:
poi la saetta, l’arme celeste che tutto distrugge,
roteò, la scagliò: volò quella dal pugno del Nume,
e tutti sbigottì, colpendoli, e topi e ranocchi.
Ma neppur questo frenò dei topi l’esercito; e tanto
di piú, sopra i ranocchi piombavano, a farne sterminio,
se non si fosse a pietà di loro commosso il Croníde,
che a lor mandò, mentre essi perivano, nuovi alleati.
Vennero ad un tratto i Branchiricurvi, gl’Incudinidorsi,
Movidisbiego, Tuttossi, Camminallindietro, Ampispalle,
Pellidiscaglia, Bocchedipinza, Pellucidischiene,
Spilunghibraccia, Zampisciancati, Pupillenelpetto,
Ottàpodi, Bicorni, Perimperforàbili. Granchi
detti son essi; e ai topi coi morsi mozzavan le code,
le mani e i piedi. Ed ecco, piegare si vider le schiere.
Ebbero i miseri topi sgomento a vederli; né saldi
stetter, ma volsero a fuga. Già il sole volgeva al tramonto.
Questa la fine fu della guerra durata un sol giorno.