gli scaglia contro, il viso gl’imbratta, a momenti lo accieca.
Grande fu l’ira di quello: levò con la mano massiccia
un gran sasso che a terra giaceva, gravame a le zolle:
colpí con questo Sguazzanelbrago al ginocchio: si franse
tutto lo stinco dentro, supino piombò nella polve.
Corse a riscossa, piombò diritto su lui, lo percosse
lo Strillonide a mezza la pancia; tutto ivi s’immerse
l’aguzzo giunco, a terra l’entragne si sparsero tutte,
mentre il traeva, all’asta confitto, la mano massiccia.
Rodipagnotte colpí Gonfiagote all’estremo del piede:
s’allontanò zoppicando, con gemiti gravi, dal campo
verso una fossa, se qui sfuggisse al destino di morte.
Un giovinetto c’era fra i topi, distinto fra tutti,
prode, diletto figlio del valido Insidiapagnotte,
emulo sin di Marte, Scavizzolabriciole sire,
che nelle turbe dei topi fra tutti era primo in valore.
Vanto faceva costui che avrebbe strappato da solo
dalla palude via la schiatta dei prodi ranocchi.
Ed ebbe allor pietà dei perduti ranocchi il Croníde,
e diede il volo a queste parole, crollando la testa:
«Miseri noi, che prodigio mai vedono queste pupille!
M’interrorisce non poco Scavizzolabriciole, quando
vuol dei ranocchi la razza distruggere! Ed io, quanto prima,
Pallade manderò, tempesta di guerra, con Marte,
che lo sapranno strappare, per prode che sia, da la zuffa».
Cosí diceva il figlio di Crono; e Giunone rispose:
«Figlio di Crono, la forza d’Atena, la forza di Marte,
non basterebbe a schermire la morte funesta ai ranocchi.
Su via, tutti al soccorso di quelli moviamo; ed impugna