«O figlia, e dunque, tu non muovi a soccorrere i topi?
Eppur, nei templi tuoi mai sempre saltellano, attratti
dal fumo delle offerte, dai tanti squisiti bocconi!».
Cosí disse il figliuolo di Crono; ed Atena rispose:
«Padre, mai non sarà ch’io muova in soccorso dei topi,
per quanto nelle angustie li vegga: ché troppi m’han fatti
perfidi tiri, danni recando alle bende e alle lampe,
per via dell’olio: tanti misfatti mi morsero il cuore.
Però, dare soccorso non voglio neppure ai ranocchi:
ché neppure essi a posto non hanno la testa: ché ieri
dalla battaglia tornai stanca morta, ed avevo bisogno
tanto, di fare un buon sonno; ma quelli, col loro schiamazzo,
non mi lasciaron dormire neppure un istante; ed insonne
giacqui, col mal di capo, cosí, fino al canto del gallo.
Lasciamo andare, o Numi, non diamo soccorso a nessuno,
ché alcun di noi ferito non resti d’aguzza saetta:
ché, pur se un Nume a loro s’accosta, son fegati sani:
dunque, godiamoci tutti, dal cielo a guardar la battaglia».
Cosí diceva. E tutti le diedero ascolto i Celesti,
e nello stesso luogo convennero tutti a vedere.
E le zanzare allora, fornite di búccine lunghe,
levarono gli squilli di guerra tremendi; e dal cielo
Giove Croníde tuonò, presagio di guerra funesta.
E qui, primo Altostrilla di lancia ferí Leccaluomo
che combatteva fra i primi, nel ventre, del fegato a mezzo:
piombò prono, imbrattò nella polvere i morbidi crini.