mossero al re; ma questi, sorgendo a parlar, cosí disse:
«Io non uccisi, amici diletti, quel topo, né vidi
quando morí. S’annegò, scherzando da sé nel padule,
ché delle rane il nuoto voleva imitare: e quei tristi
accusano ora me, che sono innocente. Consiglio,
su via, si tenga, e modo si cerchi che vadano spenti
i frodolenti topi. Per me, questo è il meglio ch’io dico:
saldi, le membra cinte dell’armi, piantiamoci tutti
dove all’estremità delle ripe scoscende il terreno;
e quando sopra noi piomberanno all’assalto, chiunque
ci venga a tiro, noi, ghermendolo a sommo il cimiero,
precipitiamolo giú, bello e armato nell’acqua; e affogati
quando li avremo, ché sono di tuffi inesperti, nell’onde,
esulteremo, con lieto trofeo, della strage topesca».
Tutti convinse, parlando cosí, che cingessero l’armi.
Strinsero prima agli stinchi ripari di foglie di malva,
fecero le corazze di floride bietole verdi,
dei cavoli le foglie foggiarono ad uso di scudi,
un giunco aguzzo in pugno ciascuno serrò come lancia,
poser come elmi in capo di piccole chiocciole i gusci.
E, fermi su le ripe sublimi, a schermire l’assalto,
l'aste scoteano, e tutto furore era il cuore d’ognuno.
E chiamò Giove i Numi nel cielo stellato a raccolta;
e, le guerresche turbe mostrando, e i gagliardi guerrieri,
molti, aitanti, che in pugno stringevan le lunghe zagaglie,
qual di Centauri o vuoi di Giganti un esercito muove,
chiese, ridendo soave: «Chi dunque dei Numi ai ranocchi
muove in aiuto, chi ai topi?». Poi, volto ad Atena, le disse: