tante: ché duplice vita concesse ai ranocchi il Croníde:
saltar sopra la terra, nascondere il corpo nell'acqua.
E se sapere anche questo desideri, è agevole cosa:
saltami in groppa, stringiti a me, ché non sdruccioli, forte,
e la mia casa vedrai, senza correre rischio di sorta».
Disse cosí, gli porse la groppa: ed un salto leggero
quello spiccò, vi balzò, stringendosi al valido collo.
E, sinché vide vicini gli approdi, era tutto contento,
e, Gonfiagote mirando procedere a nuoto, esultava.
Ma, come fu bagnato dai flutti purpurei, dirotto
pianse, la coda, a guisa di remo protese nell’onde,
tutti pregando gli Dei che tornar lo facessero a terra,
tardi a sé stesso volgendo rimproveri vani; e alla pancia
stringeva i pie’, si strappava le chiome, ed il cuor gli batteva,
terribilmente, stretto da gelida angoscia, nel petto.
Non sovra il dorso cosí recava il fardello amoroso
il tauro, allor ch’Europa condusse tra i vortici a Creta,
come recava il topo sul dorso, quel di Gonfiagote
stendendo sopra l'acque purissime il ventre verdastro.
Ed ecco, d’improvviso, comparve una biscia: tremendo
spettacolo per tutti: su l’acqua alta ergeva la testa.
Come la vide, cosí Gonfiagote nell’acqua s’immerse,
ed obliò qual compagno lasciava alla morte: nel fondo
della palude s’immerse, schivando la livida Parca.
Quello piombò, come fu lasciato, supino su l’acque,
le braccia in sé raccolse, mandò, moribondo, uno strido:
e scomparia sovente nell’acqua, e sovente, scalciando,
tornava ancora a galla; ma come sfuggire al Destino?