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14 INNI OMERICI


L’altra parte della cornice, quella che chiude l’inno, è forse il brano piú interessante di tutti gl’Inni. In essa, il poeta abbandona il mito, e traccia un quadro, appena accennato, e non però meno vivace, delle feste celebrate ai suoi tempi in Delo.

E singolarissimo, in tutta la letteratura greca, è il passo intorno alle fanciulle di Delo. Sono, come dice esplicitamente il poeta, le ministre d’Apollo; e la cerimonia da loro celebrata, è, parrebbe, un iporchema, una danza religiosa. Secondo ogni probabilità, le fanciulle vi rappresentavano la corsa di Latona, e imitavano la lingua delle diverse genti fra cui passava la Dea, riproducevano i loro canti e le loro danze. E l’imitazione era perfetta. Ciascuno, asserisce il poeta, udendole, credeva d’udir sé stesso.

Abbiamo dunque una testimonianza precisa e preziosa del carattere prettamente mimico di queste danze. E torna a mente il famoso epitafio scolpito su la tomba del mimo Vitale:

     Cosí le mosse, i volti, le voci imitavo, che avresti
          detto che favellassero in molti; ed ero io solo.
     E quello stesso che in me si vedeva cosí raddoppiato,
          guardandomi, sentiva rizzarsi addosso i peli.

Il testo dice che queste fanciulle sacerdotesse imitavano la voce di tutte le genti, e il loro krembaliastys. Ora, in greco krémbalon vuol dire nacchera, e krembaliastys danza o canto a suono di nacchera. Ma il valore specifico non si doveva sentir piú; e il vocabolo avrà voluto semplicemente significare: caratteristica ritmica, o simili. Traduco in conseguenza.

E quasi piú interessante è l’apostrofe rivolta alle fanciulle di Delo. Franta l’eterna obiettività rapsodica, il poeta parla