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INNI MINORI | 155 |
A ERMETE
Ermète canto, il Nume Cillenio, che Argo trafisse,
lui che Cillène e l’Arcadia nutrice di greggi tutela,
degl’Immortali araldo benigno. Sua madre fu Maia,
figlia pudica d’Atlante, che a Giove si strinse d’amore.
Ella schivare sempre le schiere solea dei Beati,
sempre vivea fra l’ombre d’un antro. Il figliuolo di Giove
amò quivi la Ninfa ricciuta, nel cuor della notte,
mentre Giunone immersa giaceva nel dolce sopore,
restando ai Numi tutti nascosto ed a tutti i mortali.
E dunque a te, di Giove figliuolo e di Maia, salute;
io mi ricorderò d’esaltarti in un carme novello.
A EFESTO
Voglio cantare, o Musa canora, d’Efèsto, l'insigne.
lo scaltro. Ei con Atèna, la Diva dal ciglio azzurrino,
d’opere belle fu maestro ai mortali, che prima,
entro spelonche, a guisa di fiere vivevan pei monti.
L’opere apprese adesso d’Efèsto, l’artefice insigne,
vivere ognuno può, dal principio alla fine dell’anno,
dentro le case, al riparo, tranquillo, una facile vita.
Benigno, o Efesto, sii: dammi tu la ricchezza e la forza.