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12 INNI OMERICI

ciulle di Delo, dice: «Se, o fanciulle, alcuno vi domandasse, etc.»1.

Dunque, gl’inni sono due, appiccicati, e malamente, l’uno all’altro dai tre versi 179-181, che ci stanno proprio a pigione, che io ho espunti senza esitare, e che, se il curioso lettore non vuol proprio esserne defraudato, dicono cosí:

     O Sire che Meonia l’amabile e Licia proteggi,
     e la città gioconda che al mare è vicina, Mileto,
     e il tuo dominio stendi su Delo battuta dal mare.


***


Come è, secondo ogni verisimiglianza, il piú antico, cosí quest’inno ha semplicità di linea e chiarezza mirabili.

Il nucleo è costituito dalla nascita d’Apollo, che, venuto appena alla luce, assume i suoi attributi, la cetra e l’arco. Prima e dopo, ci sono due altri brani, quasi due orli, che l’incorniciano.


  1. Διαλεγόμενος γάρ ταῖς Δηλιάσι καὶ καταλύων τὸ προοίμιον. Il Gemoll nega qualsiasi valore a questo brano, perché crede che Aristide non abbia avuto sott’occhio il testo degli inni, bensí il solo brano di Tucidide. Sarebbe possibile, per quanto non eccessivamente verisimile: ma, ad ogni modo, a carico del Gemoll rimane l’onus probandi. L’unica prova da lui addotta, che, cioè, tanto Aristide quanto Tucidide adoperano il vocabolo προοίμιον invece di ὕμνος, è destituita d’ogni valore. Lo scoliaste di Tucidide dice esplicitamente: ἐκ προοιμίου, ἐξ ὕμνου, τοὺς γὰρ ὕμνους προοίμια ὲκάλουν. Tralascio le ragioni con cui il Gemoll sostiene l’unità dei due inni. Non mi pare che, in genere, siano state accettate. E ostinarsi a confutar gli errori quando non trionfano, significa, in sostanza, favorirne la sopravvivenza.