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142 INNI OMERICI


arte classica, gioverà ricordare i pochi sublimi tocchi di Pindaro, che anch'egli ricorda (Olimpia VII, Epodo II):

quel dí che per l'arte d'Efesto, pel cozzo di bronzea scure,
               dal sommo cerèbro del padre
Atena balzò fuor, cacciando un urlo acutissimo immane,
e tutta la terra ed il cielo un orrido brivido corse.

Quello a Selene, notevole perché la fantasia del poeta, più che dalla personificazione del pianeta, sembra dominata dal suo vero aspetto fisico. Il che è tanto moderno quanto poco classico. E colorito moderno, quasi direi romantico, ha la pittura del fulgore lunare che piove dal cielo a bagnare la terra.

Quello ai Dioscuri, dove è dipinto con efficacia il trapasso del mare dalla tempesta alla calma. Certo, anche qui, c’è infinitamente più forza plastica nella strofetta d'Alceo ritrovata ultimamente nei papiri:

ché su le cime delle salde navi
fulgidi intorno agli alberi balzate,
e luce nella notte orrida al negro
legno recate.

Merita infine menzione speciale l’inno ad Ares. Il lettore vedrà con meraviglia che il terribile Dio, che in Omero e giù giù in tutti i poeti greci è rappresentato quasi come un beccaio, qui è invocato come Nume di pace, che debba preservare il poeta dalle guerre e dalle risse. Gli è che fra gl'inni omerici questo è un intruso, e ci è capitato, non si sa come, esule dalla sua vera patria, che dovrebbe essere la raccolta degli Inni orfici. Nei quali si potevano ammirare queste e simili altre metamorfosi. Ma non è qui il luogo da ragionarne.