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Gli altri inni sono povere cose, e il lettore non dotato di troppa pazienza, può saltarli senza scrupolo: la sua conoscenza degli inni omerici non ne rimarrà impoverita.

Sono, o addirittura frammentini staccati da altri inni (spesso da quegli stessi che già conosciamo; e in questo caso li ho addirittura omessi), o spunti appena abbozzati, o brevi composizioni quasi tutte di scarsissimo valore. La loro storia minuta non può interessare il lettore. Ed è quindi inutile starli a considerare uno per uno, per venire poi alla conclusione a cui siam giunti nell'esame degli inni maggiori: che cioè, di certo non si può dir nulla.

Fra tutti, hanno qualche maggior rilievo:

L'inno ad Artèmide, con l’efficace descrizione dello sgomento che invade i monti, le foreste, la terra e il mare, al passare dell’implacabile Dea: c’è come un riflesso della leggenda d’Orione, il cacciatore feroce.

Quello ad Atena, in cui è rappresentata con vivacità la nascita della Dea dal capo di Giove. Ad ogni modo, però, per misurare la distanza che passa da questi epigoni alla grande