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Cantami, o Musa, il figlio d’Ermète diletto, bicorne,
vago di strèpiti, pie’ di capra: per valli e per selve
ei con le Ninfe errare costuma, le vaghe dei balli,
che battono le balze scoscese, le vette dei monti,
Pan invocando coi gridi, dei pascoli il Dio chiomabella,
l’irsuto, a cui son sacre le cime coperte di neve,
i vertici sublimi dei monti, i sentieri di rocce.
È suo costume vagare qua e là per i folti macchioni.
Siede talvolta presso le molli correnti dei fiumi:
supera poi sentieri di rupi precipiti, ed alto,
su la più alta vetta, s’inerpica, e guarda la greggia.
Spesso traverso ai gioghi si lancia dei fulgidi monti,
spesso alle loro falde sospinge le fiere alla caccia,
ch’à le pupille aguzze. Sul vespero, lascia la caccia,
torna soletto, e canta, dai giunchi una flebil melode
soavemente esprime; né vincerlo al canto potrebbe,
a primavera, quando germogliano i fiori, l’augello
che giù dai rami effonde, con voce di miele, il suo lagno.
Le Ninfe, acute voci, che vagan pei monti, con lui
errano allora, e danze vicino alle brune fontane