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Deve essere abbastanza recente. Sia perché Pan fu cantato poco dagli antichi poeti: ché la sua fama e il suo culto ebbero incremento solo dopo la battaglia di Maratona, dove egli sbigottí i Persiani col suo grido terribile; sia perché, come notò già il Baumeister, la descrizione che troviamo nella prima parte (126) non appartiene al tipo classico.

È vero. Ma non m’accorderei più col Baumeister nel chiamarla tumida e gonfia. Non ha certo la nitidezza e la sobrietà classiche; ma ha una sottigliezza di linee e una squisitezza di colori, o, meglio, di sfumature, che la renderebbero degna di stare accanto all'Ila o all’Epitalamio d’Elena di Teocrito. E forse possiamo precisare ancor meglio la nostra impressione, ricordando qualche squisita imitazione ellenica dei moderni: dello Chénier, per esempio; o di Ugo Foscolo.

Gustosissimo è anche il colorito comico o quasi grottesco della seconda parte. C’è stato chi ha voluto scinderla dalla prima appunto per la sua diversità. Ma in verità, la pretesa non potrebbe essere meno legittima. Un poeta non è un tamburo, costretto a ripetere sempre la medesima nota. Fra i due