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21-50 DIONISO O I PIRATI 131

sopra la negra terra lasciamolo libero, lungi
da lui le man’ tenete, ché, in ira salito, non debba
i venti contro noi suscitare, e la fiera procella».
     Disse; ma il capitano rispose con cruda rampogna:
"Amico, bada al vento, tu, bada a raccoglier gli attrezzi,
a tirar su la vela: ché a questo ci pensa la ciurma.
Sino in Egitto dovrà venire con noi, sino a Cipro,
agl'Iperborei, e magari più in là, dico io, sino a quando
detto non ci abbia i suoi genitori chi sono, e gli amici,
tutte le sue sostanze: ché a noi l’ha mandato un Celeste».
     E l’albero drizzò, tese allora la vela il pilota.
Colpí la brezza a mezzo la vela, si stesero i remi
tutti d'attorno. E, d’un tratto, si videro strani prodigi.
Prima, traverso il negro veloce naviglio, un vin dolce
fragrante, scaturí gorgogliando; e s’effuse un olezzo
ambrosio: sbigottiti rimasero tutti i nocchieri.
Súbito dopo, a sommo fiorí della vela una vigna,
stesa di qua, di là: ne pendevano grappoli fitti.
S’avvolticchiò tutta in giro su l’albero l’edera negra,
dove il corimbo fiorí, spuntarono bacche eleganti;
e tutti ebber ghirlande gli scalmi. Ciò visto, i nocchieri
dissero che il pilota facesse approdare di nuovo
la nave; ed ecco, dentro la nave, comparve da prora
un orrido leone, che truce ruggiva; e nel mezzo,
tutta villosa un’orsa, tremendo prodigio. E si rizza
sui pie', bramosa; e sopra lo scalmo di prora, il leone
terribilmente guata. Balzarono a poppa, sgomenti,
tutti, vicino al nocchiero che aveva mostrato saggezza;
e se ne stavano li, sbigottiti. E il leone, d’un salto,
il capitano acciuffò. Quegli altri, d’un tratto, a schivare