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     Dïòniso dirò, della celebre Sèmele il figlio,
com’egli apparve presso la spiaggia del mare infecondo,
dove sporgeva il lido. D’un giovine pubere appena
assunte avea le forme: le chiome ondeggiavano, brune
cerule: sopra le spalle gagliarde, un purpurëo manto.
Ed ecco, d’improvviso, spuntar da una rapida nave,
sovressi i foschi flutti del mare, pirati tirreni.
Tristo destino qui li guidava. Lo videro, e cenno
fecero l'uno all'altro, balzarono súbito a terra,
e nella nave loro l’addussero, tutti festosi,
ché lo credettero figlio di qualche divino monarca.
E tosto in ceppi duri lo vollero stringer; ma i ceppi
non lo tenevano: i lacci, dai pie’, dalle mani, lontano
caddero al suolo; ed egli si pose a sedere; ed un riso
illuminava le azzurre pupille. E il pilota comprese.
«Amici, un Nume abbiamo predato; e volete legarlo?
Egli è pesante: il nostro naviglio non può contenerlo:
Giove, di certo, è costui, o Apollo dall'arco d’argento,
oppure, il Dio del mare: l’aspetto non ha d’un mortale:
somiglia ai Numi ch'ànno dimora nel cielo: su’ via.